di Paolo Ondarza
La protezione internazionale dei richiedenti asilo non deve essere un concetto
astratto, ma un’azione dinamica finalizzata a salvaguardare la dignità e
la sicurezza delle persone. Così l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso
l’Onu di Ginevra, l’’arcivescovo Ivan Jurkovič, intervenuto in due
occasioni sul tema, gli scorsi 17 e 18 ottobre. No a politiche rigide o a procedimenti
troppo lunghi nell’accettazione delle domande d’asilo: il presule spiega che
meccanismi troppo farraginosi “mettono pericolosamente a rischio la sicurezza di chi
necessita protezione”.
A tal scopo è necessario supportare i Paesi riceventi, con special riguardo a quelli
in via di sviluppo, attraverso la condivisione di buone pratiche finalizzate all’adozione
di procedure adeguate. “Non c’è dicotomia tra controllo delle frontiere e benessere
dei rifugiati”, ha spiegato l’arcivescovo: “le due dimensioni vanno rafforzate reciprocamente”.
La raccomandazione è ad adottare politiche nazionali di sicurezza inclusive
che tutelino tanto la sicurezza dei cittadini quanto quella dei richiedenti asilo
spesso in fuga da conflitti armati. “Un approccio orientato solo alla sicurezza ignora
la tragedia delle persone in fuga”.
“Le espulsioni arbitrarie e collettive non sono una soluzione”, ha
rimarcato mons. Jurkovič raccomandando alla comunità internazionale una speciale sensibilità
nei confronti dei bambini non accompagnati e delle loro famiglie. Parlando dei minori
rifugiati il presule sottolinea come 3,5 milioni di loro non hanno avuto la possibilità
di frequentare la scuola. “L’istruzione, primaria e secondaria, deve essere
assicurata ed è importante – ha ammonito – anche ai fini di una protezione
dalle piaghe della tratta, del lavoro forzato e di altre forme di schiavitù”.
Fondamentale anche l’accesso all’assistenza sanitaria. La salute
dei rifugiati ha infatti la stessa dignità di quella dei cittadini dei paesi ospitanti.
Il presule ha smontato la paura e l’idea diffusa che i rifugiati possano veicolare
malattie infettive e chiesto una loro piena inclusione nei sistemi sanitari nazionali.
“La decisione di fuggire dalla propria terra da parte di tanti nostri fratelli e sorelle
– ha concluso – scaturisce da paura e disperazione, ma anche dalla fiducia nella solidarietà
e unità della famiglia umana”.
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