2017-10-10 13:44:00

Giornata contro la pena morte. Amnesty: i più colpiti sono i poveri


Intervista di Roberta Gisotti a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International-Italia

Oggi 15.ma Giornata mondiale contro la pena di morte, promossa da Amnesty International, incentrata sul tema “Povertà e condanna capitale”. Da recenti analisi risulta infatti che le esecuzioni nei Paesi che ancora applicano la pena di morte colpiscano in maggioranza persone povere, con un basso livello di istruzione, appartenenti a minoranze religiose, etniche o razziali.

R.  Sì, è quello che evidenziano le ricerche condotte da Amnesty International in vari Paesi, tra cui la Cina, l’Arabia Saudita e gli stessi Stati Uniti. Chi non ha mezzi economici per avere una difesa subisce una giustizia di seconda classe, che spesso comporta anche la condanna capitale. La storia della pena di morte è piena di procedimenti irregolari, di difese inadeguate: in particolare nell’Arabia Saudita, dove negli ultimi 20 anni la metà delle esecuzioni hanno riguardato lavoratori migranti che non conoscevano la lingua araba - che è quella usata negli interrogatori e nei processi - e che spesso non hanno avuto una difesa idonea né tantomeno un servizio di interpretariato.

D.  Nel Rapporto si indica come altro elemento penalizzante, associato alla povertà, l’ignoranza…

R.  Sì, è così: livelli bassi di istruzione non solo comportano l’incapacità di comprendere quali sono i propri diritti ma anche di affrontare in piena coscienza un processo. E naturalmente, un retroterra in cui la povertà si combina con l’assenza di istruzione, segna anche in qualche modo il destino delle persone nel passaggio dall’adolescenza alla maturità, con una certa inclinazione anche a compiere reati. Questo è quello che ci dicono le ricerche più attuali.

D.  Il 2017 segna i 40 anni dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1977. Che cosa accadde allora?

R.  Quell’anno venne adottato il primo testo e manifesto insieme con una visione di un mondo in cui la pena di morte non ci sarebbe più stata. E devo dire che in questi 40 anni i passi avanti sono stati notevoli, perché nel 1977 i Paesi che avevano abolito la pena di morte erano soltanto 16 e tutti in Europa e America, mentre oggi il totale dei Paesi che, tra abolizionisti totali e quelli che mantengono la pena di morte solo in circostanze eccezionali e quelli che non vi ricorrono più per prassi da almeno un decennio, è salito complessivamente a 141, di cui 105 abolizionisti totali.

D. – Nella classifica dell’ultimo anno spiccano le 355 condanne in Iran che, appunto, si trova al primo posto, seguita dall’Arabia Saudita con 85 esecuzioni, e troviamo pure gli Stati Uniti al quinto posto con 18 esecuzioni. Non vediamo però la Cina….

R. – La Cina è il Paese che ha il primato terribile delle esecuzioni, anche se, essendo questo tema un segreto di Stato, non abbiamo i dati da parte delle autorità di Pechino, anche se sappiamo che si tratta di migliaia di persone ogni anno. L’Iran si conferma Paese che adotta e applica la pena di morte più che settimanalmente: quasi una media di una esecuzione al giorno per quanto riguarda il 2016 e più di una al giorno per quanto concerne, finora, il 2017. L’Arabia Saudita è arrivata alla centesima esecuzione nei giorni scorsi, e arrivano brutte notizie anche dagli Stati Uniti, perché l’anno scorso, a causa di una serie di sospensioni legate ai problemi del farmaco che sostituiva quello tradizionalmente usato nella iniezione di veleno, molte esecuzioni erano state sospese. Ora sono riprese, e già a fine settembre-inizio ottobre il numero delle esecuzioni è maggiore rispetto a quello dell’intero 2016. 








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