2017-09-29 13:46:00

Gallagher: i leader religiosi contribuiscono alla protezione degli Stati


"La responsabilità di proteggere i propri abitanti è l’obiettivo primario degli stati e del diritto penale". Così l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, nei giorni scorsi ha aperto il suo intervento a New York all’Assemblea Generale sulla valutazione del piano d’azione globale Onu per combattere la tratta delle persone.

“Il punto di svolta di sviluppo della responsabilità di proteggere – ha spiegato il presule – è iniziato con la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America il 4 luglio del 1776  e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del Cittadino della Francia il 26 agosto del 1789, dove è stata stabilita l’uguaglianza dei cittadini davanti la legge, e dalle quali nascono le basi principali del diritto penale di oggi “

E quindi, la responsabilità primaria di uno Stato è proprio quella di proteggere l’ordine pubblico, l’armonia sociale, la vita  e la sicurezza delle persone e dei loro famigliari, e questo appare attualmente come un principio assoluto accettato da tutti e quindi diventa necessario evitare che i governi trascurino queste regole fondamentali di uno Stato.

“La 60.ma Sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite – ha spiegato - ha definito i tre pilastri su cui poggia il concetto internazionale della responsabilità di proteggere e sono questi: prima di tutto, gli Stati hanno la responsabilità di proteggere le popolazioni sotto la loro giurisdizione da genocidi, crimini di guerra, pulizie etniche e crimini contro l’umanità; poi la comunità internazionale deve aiutare gli Stati in questo compito, e infine quando uno Stato fallisce in questo obiettivo, deve essere allora la comunità internazionale a prendersi cura di quelle popolazioni.”

Ma in questo caso mons. Gallangher ha voluto fare una precisazione “Nel caso in cui – ha sottolineato - uno Stato decida di fare un intervento militare in un altro Stato vicino con il pretesto di applicare la responsabilità di protezione,  spesso ciò che si ottiene è minare ancora di più la sicurezza di quella nazione e quindi ciò solleva serie riserve a proposito”

Perciò mons. Gallagher, ha messo in evidenza che di fronte a questi rapporti delicati di responsabilità di protezione degli Stati, un ruolo importante è dato proprio ai leaders religiosi, che nell’esercizio della loro missione possono facilitare la giusta applicazione di questi principi.

“I leader religiosi - ha spiegato – possono  aiutare la società a capire il concetto di responsabiltà di protezione, che fa parte dei valori presenti in tutte le grandi religioni del mondo dove vengono affermati i principi etici di reciprocità di aiuto. E il primo valore è l’obbligo da parte di tutti di rispettare la vita degli altri e che i governi proteggano i loro cittadini”.

E ricordando le parole di papa Francesco durante l’incontro interreligioso avuto nella visita in Azerbaijan, ha citato “Le religioni, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni”

E ha spiegato “I veri sentimenti religiosi sono lontani da ogni forma di violenza. Tra il patrimonio giuritico e le veri valori religiosi c’è una connessione inseparabile, come il riconoscimeto dei valori umani e la fraternità universale. È quindi responsabilità dei leader religiosi, come parte della loro missione, promuovere il riconoscimento di quel patrimonio giuridico universale, che può anche essere chiamato diritto naturale e degli obblighi che ne derivano.

E i crimini più vili del XX secolo, ha spiegato ancora il presule, d'altra parte, si sono verificati in un momento in cui l'idea di Dio e della fraternità universale, caratteristiche delle grandi religioni, erano stati sostituiti da ideologie di superiorità razziale o nazionale e di lotta di classe. E proprio sull’importanza di una religione libera da ogni tipo di intolleranza ne avevano parlato in due viaggi apostolici a Tirana sia papa Francesco che San Giovanni Paolo II. “Come credenti, - aveva sottolineato papa Francesco durante la sua visita a Tirana nel settembre del 2014 -  dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l’etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell’uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione. La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano”.

Quindi,  ha spiegato mons Gallangher,  la vera fede religiosa, invece, offre un chiaro percorso complementare e alternativo. Da un lato, vivendo la regola d'oro della carità in ogni circostanza, e quindi  evitando reati tali da giustificare  l'intervento della comunità internazionale. D'altra parte, anche se questi crimini ci fossero, tuttavia, una fede che non conduce alla mancanza di rispetto di altri ma che favorisce il dialogo, agevolerebbe l’intervento di  una comunità internazionale organizzata per la soluzione di tali situazioni gravi.

“Perciò, - ha concluso il presule -  il grande ruolo che i leader religiosi possono svolgere per quanto riguarda la responsabilità di proteggere è quello di garantire che le religioni siano vissute in modo tale che genocidi, crimini di guerra, pulizie etniche o crimini contro l'umanità non si verifichino mai”.








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