di Paola Simonetti
Si preannuncia una domenica incandescente per la Spagna alle prese con il referendum
sull’indipendenza della Catalogna. Il voto, considerato illegale da Madrid, sarà reso
difficile dal dispiegamento di agenti della polizia nazionale e della guardia civile
attivato dal premier spagnolo, Rajoy.
La procura spagnola - dopo perquisizioni, sequestri, arresti e denunce penali -
ha ordinato alla polizia regionale, i Mossos, di recintare i seggi e sigillarli, sequestrare
urne, schede, computer, impedire qualsiasi tentativo di votare anche in strada "nel
raggio di 100 metri". Il rischio di pesanti scontri è concreto, poiché, la popolazione
catalana ravvisa in questa operazione un’avvisaglia di repressione.
Barcellona, garantisce che il voto ci sarà e prevede un’ampia affluenza alle urne.
L'82% dei 7,5 milioni di catalani è per il 'diritto di decidere', il 61% ha già fatto
sapere che voterà. Ada Colau, sindaca di Barcellona, ha chiesto alla Commissione
Europea di mediare tra il governo catalano e quello di Madrid "per negoziare una soluzione
democratica" alla crisi.
Ma gli scenari destinati ad aprirsi, secondo Giacomo Demarchi, docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università di Milano, sono tutt’altro che scontati, anche per la mancanza di compattezza dei fronti opposti.
Ascolta e scarica il podcast dell’intervista a Giacomo Demarchi:
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