2017-09-08 21:39:00

Il viaggio in Colombia. L’esempio di Francesco


di Alessandro De Carolis

La parola e l’esempio. E’ così che fa un pastore. Usa la voce per radunare il gregge, le pecore recalcitranti, le pigre, le distratte. Poi si mette in testa, o in mezzo o dietro, e indica la strada. Francesco, il Papa che ama e rispetta l’odore delle pecore e vorrebbe che ogni pastore della Chiesa ne avesse la tonaca impregnata, fa lo stesso. Comincia usando la voce.

Francesco trascorre una giornata intera accanto ai presuli della Colombia e a tanti di tutta l’America Latina, radunandoli con affetto – tante le strette di mano e sguardi che dicono di più delle strette – e con loro si intrattiene a lungo, volutamente. Lo testimoniano i due discorsi, lunghi, articolati, pensati profondamente per lasciare un segno, per indicare trappole e sentieri sicuri alla Chiesa in uscita. Parla con i pastori locali – che per qualche ora sono il gregge attento del Pastore universale – modulando i toni, con pacatezza, nonostante la stanchezza sembri affiorare qua e là. Francesco usa la voce e le sue sfumature per mostrare la complessità pastorale della Colombia e dell’America Latina, e poi, quasi a suggello della giornata, davanti al milione e passa di persone al Parco Simon Bolivar, chiede per la Colombia ma non solo di creare in una “rete robusta” che protegga i più fragili.

A inizio giornata, Francesco il Pastore aveva radunato anche un altro gregge, quello degli amministratori della cosa pubblica colombiana. Storia, presente, il futuro migliore auspicabile per una nazione che cerca una nuova strada di convivenza: anche con i rappresentanti del popolo Francesco aveva usato la voce e, in un passaggio, toccato il medesimo tasto. Lo sguardo di chi governa, aveva auspicato, sia rivolto agli esclusi di oggi perché la società non si crea col “sangue puro” di pochi prescelti.

La giornata è stata faticosa. Cinque discorsi, un impegno sfiancante anche per il più coriaceo dei pastori. Ma non basta. Ora che le varie parti del gregge hanno ascoltato la sua voce, è necessario indicare la strada. E lo scenario per mostrarla non sono gli spazi verdi e le folle sterminate e i palazzi della presidenza, ma la strada senza particolari richiami che conduce all’ingresso della nunziatura apostolica di Bogotà. Come la sera prima, l’arrivo del Papa è un interruttore che scatena una festa. Bella e vivacissima come quella della sera prima, ma questa volta è la festa dei fragili. Sono affetti dalla sindrome di Down le ragazze e i ragazzi che ballano, hanno deficit intellettivi alcuni dei giovani che, microfono un po’ tremante in mano, si rivolgono al Papa Francisco con una trasparenza di sguardo e un senso di aspettativa che mette i brividi.

E’ a quel punto che il Pastore di tutti riannoda i fili dei tanti richiami disseminati nei suoi discorsi. Ancora una volta, l’ultima della giornata, usa la voce, la più necessaria, per quel piccolo gregge che pende dalle sue labbra e che rassicura in modo trascinante che non esiste una vulnerabilità di serie A o B, perché essere fragili è ”l'essenza dell'umano”. L’esempio arriva alla fine ed è il più potente. Sono gli abbracci dopo le parole, la tenerezza dopo le idee. Sono le lacrime di commozione che luccicano nei ragazzi e anche negli occhi di chi assiste e si scopre un po’ più fragile e più umano. Senza nessuna tristezza, però, nessun pietismo. Tutto si svolge con semplicità, nel segno di una alegria genuina. Perché, aveva ricordato la mattina il Pastore universale a quelli locali, il Vangelo è gioia “senza gioia non si attira nessuno”.








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