2017-08-23 13:50:00

Mons. Paglia: prendersi cura del malato nella sua fase terminale


di Luca Collodi

Si svolge giovedì 24 agosto a Roma un seminario sulla cura della persona morente. Si tratta di un gruppo di lavoro promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita che riunisce i massimi esperti sullo sviluppo delle cure palliative nel mondo. L’obiettivo dell'organismo vaticano è quello di studiare, accanto alla situazione di sviluppo attuale, gli ostacoli all’attuazione delle cure palliative nella cura, anche spirituale, della persona malata. Nel mondo, solo l’8% dei malati terminali, il 30% in Italia, può oggi contare su cure palliative in grado di alleviare i sintomi clinici ed umani di malattie terminali. Sul seminario promosso a Roma, abbiamo intervistato mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita:

R. – La Pontificia Accademia per la Vita ha iniziato un programma chiamato “PAL-LIFE” per promuovere lo sviluppo delle cure palliative e farle conoscere, perché rispondono ad una delle domande centrali della nostra società contemporanea. E cioè come accompagnare la fine della vita, poiché ci sono scorciatoie drammatiche, assurde – lo sappiamo bene in Italia ma anche altrove – come l’eutanasia, il suicidio assistito e così via. In realtà, la dimensione della cura palliativa risponde in maniera molto accorta alle domande, ai problemi e anche alle paure che ognuno di noi ha di fronte alla morte e al dolore. Ma non c’è altrettanta attenzione sia allo sviluppo della medicina palliativa sia nella sua conoscenza. Qual è il nodo centrale delle cure palliative? Non è semplicemente quello della cura del dolore. E’ molto di più: è prendersi cura del malato nella sua fase terminale. Il seminario del 24 agosto a Roma si iscrive in questo contesto e riguarda un aspetto: la presenza di una professoressa polacca, Christina M. Puchalski, esperta del settore, che rifletterà insieme a noi sull’accompagnamento spirituale di questi momenti.

D. – L’Accademia pone quindi l’accento sui diritti del morente, in una medicina moderna che sembra trascurare la pratica delle cure palliative…

R. - Purtroppo c’è una cultura favorita anche dall’eccessiva presenza della tecnica, non perché essa non sia importante, che porta a dimenticare il malato per concentrarsi sulla malattia o su un suo aspetto. Ciò in qualche modo è una sorta di ideale vivisezione che non porta da nessuna parte se non a dimenticare la dimensione umanistica di un evento come quello della morte che è legato alla vita e alla persona. In questo senso, ad esempio, l’attenzione spirituale, che non è una questione di tecnica,  quando è compiuta, quando è fatta, porta dei giovamenti, delle consolazioni enormi al malato, ai familiari e a chi è amico ed è presente in questi ultimi momenti.

D. - Mons. Paglia, si può parlare delle cure palliative come atto di carità e di umanità verso l’altro?

R. - Assolutamente sì. Direi che è l’espressione più alta, per certi versi, del prendersi cura. Nel momento di maggiore debolezza, il malato viene circondato dall’amore di tutti. I nostri amici malati, soprattutto gravi o terminali, hanno bisogno di essere coperti dall’amore di tutti.

Ascolta e scarica il podcast dell'intervista con mons. Vincenzo Paglia

 








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