2017-07-16 08:54:00

Mons. Lojudice: servono idee nuove contro il degrado delle periferie


La questione delle periferie di Roma resta un tema scottante. Il degrado dei quartieri, disoccupazione ed emarginazione, le relazioni umane sempre più inesistenti, l'insicurezza: è quanto viene denunciato dai cittadini con forza ogni giorno. Ma sembra un grido inascoltato da decenni. Sul problema Federico Piana ha sentito mons. Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma:

R. – Il problema non è solo organizzativo e di investimenti, cioè di soldi, ma quello che conta purtroppo è riqualificare le persone che vivono, aiutare le persone a riscattare la loro storia perché altrimenti la cosa più semplice, quella che è stata fatta sempre, è quella di investire tanti soldi: io ricordo nel Giubileo del 2000, quando a Tor Bella Monaca furono investiti non saprei neanche dire quanti soldi: ancora c’erano le vecchie lire. Il problema è che bisogna trovare canali che sostengano le famiglie che, a causa della loro storia, delle loro situazioni personali, vivono e anche generano quel malessere, quel disagio che poi diventa quello tipico che caratterizza le cosiddette periferie. Anche se, come premessa, dico che dovremmo un po’ decodificare questa parola, perché è una parola che significa tantissime cose e che, come sappiamo, poi, con il vocabolario, con il linguaggio veramente ricco e fantasioso di Papa Francesco, sta dicendo anche altro, perché “periferie” nel suo linguaggio e nel suo magistero significa anche altro, significa anche la periferia esistenziale, tutto ciò che un po’ è marginalità rispetto a un fulcro intorno al quale magari girano le attenzioni principali, gli interessi più grossi e magari si dimentica quello che c’è intorno.

D. – Lei non pensa che manchi un’idea di periferia?

R. – Il problema secondo me non è tanto che manchino idee. E' evidente che ogni quartiere ha tantissime persone: ci sono quartieri cosiddetti non-periferici che hanno ancora più persone di quelle che vivono nei quartieri periferici. Il problema è – e questo è stato, secondo me, l’errore degli anni Settanta–Novanta – quando un’amministrazione pubblica comunale pensava di risolvere i problemi dell’emergenza alloggiativa o di altre situazioni, ad esempio i problemi dei portatori di handicap, costruendo dei quartieri pensati per ospitare tutte queste persone. Cioè, l’idea era intenzionalmente buona, nel senso che: “Che bello, do casa a tutti quelli che non ce l’hanno”, ma è un’idea ovviamente miope, che è tornata e che tornerà come un boomerang addosso all’intera società perché quando tu riempi un quartiere di situazioni critiche, difficili, di gente che viene da storie di sofferenza, di marginalità e così via, tu fai un ghetto; magari risolvi un problema abitativo ma ne crei tanti altri che poi, a cascata, cadranno addosso all’intera società nei prossimi decenni.

D. – Sono polveriere pronte ad esplodere …

R. – Sì, ma ripeto, è una considerazione … basta conoscere un po’, basta starci un po’ per capire che dove tu metti insieme problemi simili, è come fare un ospedale dove ci sono centinaia di persone con malattie contagiose: è la stessa logica. Purtroppo c’è la stessa, tragica logica dietro. Le cose vanno affrontate un po’ alla volta. Per fortuna, urbanisticamente, a Roma almeno, non sono stati fatti più questi errori, anche se siamo nella posizione opposta: che c’è un tale blocco della casa per cui sappiamo quante persone sono in attesa di ricevere un alloggio popolare. C’è una fatica immensa, da questo punto di vista, e uno si chiede: ma perché, questa fatica? Non ci sono le case? Non vengono assegnate? Non vengono date? Chiaramente, invece, con un’idea diversa che è quella di “spalmare” un po’ le persone in varie parti del territorio, della città: non tutte insieme. Perché un quartiere non assorbirà mai centinaia di situazioni di disagio cronicizzato. Ma magari un altro quartiere, due-tre-quattro-cinque situazioni difficili, può mobilitare anche in maniera significativa il volontariato, ma anche il vicino di casa, magari, che vede che c’è una difficoltà. Quando una persona ha dieci vicini di casa che sono tutti nelle stesse condizioni – spacciatori, drogati eccetera – è chiaro che non si metterà in aiuto di queste persone ma tenderà a rinchiudersi, blindandosi il più possibile per cercare di non rovinare se stesso e i propri figli.








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