“Il comitato è nato dopo il 15 maggio, subito dopo una grande manifestazione che si è svolta ad Iglesias a proposito della presenza, sul nostro territorio, di una fabbrica, l’unico stabilimento produttivo della RWM s.p.a., dove vengono prodotte bombe destinate alla vendita a paesi di tutto il mondo. Tra queste ci sono le bombe della serie ‘mk 80’, di cui alcuni frammenti e esemplari inesplosi sono stati ritrovati sul territorio dello Yemen, come documentato da Famiglia Cristiana, Avvenire e altri mezzi di stampa italiani. Si tratta di un Paese che a causa di due anni di guerra sta vivendo una delle più gravi crisi umanitarie internazionali, alimentata proprio dalla vendita di armi, come riconosciuto anche da due Risoluzioni del Parlamento europeo”. A parlare, dalla Sardegna, è Arnaldo Scarpa, del Movimento dei Focolari d’Iglesias, portavoce del comitato ‘Riconversione RWM’.
Riconversione al civile
“L’obbiettivo del Comitato - spiega - è promuovere
la riconversione al civile di questa fabbrica, che si trova a pochi
chilometri da Iglesias, al confine tra un’area che è di pertinenza del nostro comune
e un’altra che appartiene al comune di Domusnovas. E’ lì dagli anni Settanta, ma soltanto
dal 2001 è stata convertita dalla produzione civile, di esplosivi destinati alle miniere,
a quella militare, tra l’altro con importanti finanziamenti pubblici da parte del
Ministero dell’industria e della Regione”.
Un campo per provare le bombe
“Alcuni mesi fa la RWM s.p.a. - spiega Scarpa - ha
presentato al Comune di Iglesias un progetto per l’ampliamento dello stabilimento
che consiste nella realizzazione di un campo ‘prove’, dove verranno sperimentati degli
esplosivi. E’ tutto da collegare a un aumento delle commesse per l’impresa
che ha avuto negli ultimi anni un trend di sviluppo molto positivo. Nel 2015
ha avuto una commessa di 225 milioni di euro per la fornitura di quattro tipi di bombe
‘mk 82’ e ha un fatturato annuo intorno ai 50 milioni di euro”.
Una popolazione sotto ricatto
“L’azienda dà lavoro a circa 100 dipendenti e in un
territorio come il nostro dove c’è una disoccupazione giovanile intorno al 60% , il
tasso di disoccupazione è uno dei più alti d’Italia e si vive in un clima di crisi
economica, la presenza di un’attività in espansione rappresenta per la popolazione
un qualcosa a cui non si può facilmente rinunciare”. “Per questo il nostro Comitato
– continua Scarpa - non è visto bene da una buona parte dei nostri concittadini e
da quelli dei comuni vicini che ritengono questo un argomento tabù. Nonostante
si percepisca la difficoltà morale creata dal fatto che bombe prodotte sul nostro
territorio siano utilizzate da un Paese poco democratico come l’Arabia Saudita, in
una guerra non autorizzata e sganciate sui civili yemeniti contribuendo a provocare
oltre seimila morti in due anni, si tende a chiudere gli occhi di fronte a questo
particolare perché si è quasi sotto ricatto, in quanto questo è l’unico modo
per portare a casa il pane”.
Contro la legge
“Certo, non tutti i lavoratori della RWM vivono in
modo sereno. Molti hanno difficoltà a parlare del loro lavoro, anche perché il regolamento,
rigidissimo, della fabbrica impedisce fughe di notizie. Ma anche perché non è facile
raccontare ai propri familiari che si costruiscono bombe. Sappiamo di genitori che
non riescono a parlarne con i propri figli che magari a scuola partecipano a progetti
sulla pace. Ci sono stati casi di disoccupati che hanno rifiutato questo tipo
di lavoro per scrupolo di coscienza. In Italia, dall’art.11 della Costituzione,
è nata una legge, la legge 185 del ’90, che vieta la produzione, vendita e transito
sul nostro territorio di armi destinate ad alimentare dei conflitti. Eppure, si è
trovato il modo di eludere questa legge”.
Coerenza cristiana
“Porto avanti questa battaglia come cittadino e credente,
fin dal 2001 - spiega Arnaldo Scarpa - quando ci fu la conversione alla produzione
militare della RWM. Oggi ci siamo resi conto che non possiamo fare finta di niente.
Ci siamo paragonati ai cittadini tedeschi che vivevano ai tempi del nazismo vicino
ai campi di concentramento. Ci siamo informati e abbiamo trovato documentazione
che queste produzioni sono qualcosa che va oltre ogni limite morale. C’è una fabbrica
che per il 100% è di proprietà straniera – ma di un Paese democratico e contrario
alla guerra come il nostro – che viene a produrre bombe destinate a uccidere civili
sul nostro territorio. Noi ce lo spieghiamo con il fatto che il nostro è un territorio
povero, marginale, in cui si accetta tutto pur di poter lavorare”.
L’incoraggiamento di Papa Francesco
“Abbiamo portato assieme ad altre associazioni e realtà,
la nostra proposta di Mozione parlamentare, che punta a fermare le forniture militari
verso l’Arabia Saudita e i suoi alleati, alla Camera, perché non possiamo restare
inattivi. Abbiamo ricevuto l’incoraggiamento anche del Papa che il 3 giugno,
attraverso il sostituto alla Segreteria di Stato, mons. Becciu, ci ha scritto che
è lieto di sapere che ‘ci stiamo interessando nel promuovere un lavoro dignitoso alternativo
alla costruzione delle armi in un territorio ancora attraversato da una grave crisi
occupazionale”.
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