2017-07-06 13:31:00

Tavecchio ammette errore sullo sponsor legato al gioco d'azzardo


Carlo Tavecchio ammette il suo errore: ieri, durante un’audizione alla Commissione Antimafia, il presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio ha dichiarato di aver commesso uno sbaglio nell’aver scelto uno sponsor collegato al mondo dell’azzardo per la Nazionale. “Il contratto non sarà rinnovato, devolveremo il ricavato in beneficenza”: sono queste le parole di Tavecchio, che ha fatto marcia indietro sulla sue precedenti dichiarazioni, ammettendo l’inopportunità di una scelta pubblicitaria simile. Giulia Bedini ne ha parlato con don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano:

R. – Tante volte si dice: “Meglio tardi che mai”. Credo, però, che commettere errori possa capitare a chi deve governare, a chi deve gestire. Ma quando ci si accorge dello sbaglio è meglio ammetterlo, dichiararlo e poi cercare, quasi da subito, di mettersi davvero nell’ottica di fare qualcosa che mostri il reale desiderio di un cambiamento. Questo messaggio credo sia molto importante per l’intero mondo dello sport: lo sport non è semplicemente una scommessa, una macchina da soldi, ma è anche un’esperienza bella, positiva e, quindi, è importante mettere in luce soprattutto questi grandi valori, piuttosto che l’aspetto economico, che è soltanto una conseguenza.

D. - Quali possono essere le conseguenze negative, soprattutto per i giovani, di uno sponsor collegato al mondo delle scommesse?

R. - Credo che il gioco d’azzardo sia un problema e questo è anche testimoniato: consiste nel pensare che, con un colpo di fortuna, si possa cambiare la vita, si possano avere le occasioni per vivere, poi di conseguenza, anche quello che i soldi e la fortuna possono portare. È inevitabile che, essendo legata ad un mondo così appassionante e coinvolgente, come quello sportivo, possa divemtare una sorta di messaggio che sa coinvolgere, che sa catturare. Ma anche il Papa ha richiamato, più di una volta, i grandi sportivi professionisti, affermando: “State attenti che i ragazzi vi guardano e, quindi, dovete dare buona testimonianza, dovete dare messaggi che siano positivi”. La mia domanda è questa: vogliamo vendere il positivo o vogliamo vendere il negativo? Vogliamo essere testimoni di qualcosa che davvero, in futuro, può avere una ricaduta sociale, oppure rimanere chiusi nel nostro mondo sportivo, pensando che nulla lo possa toccare? É inevitabile che, oggi come oggi, uno sportivo sia sotto gli occhi di tutti e possa mandare un messaggio a chiunque. Questa, volente o nolente, è una conseguenza.

D. - Quindi si può definire questa affermazione di Tavecchio quasi una vittoria e una responsabilizzazione dei vertici della Federcalcio?

R. - Si è allargato il fronte di chi prende coscienza della gravità di lanciare un messaggio che può fare del male. Quindi, l’augurio è che, davvero, ci sia una collaborazione con tutti quelli che hanno sostenuto l’idea che non fosse giusta tale scelta e che adesso trova anche il sostegno, la collaborazione e il riconoscimento dei primi attori, quindi della Federazione. Spero che sia un impegno reale e comune per cercare di far fronte a questa piaga che è, davvero, una grave malattia per tanti giovani e non solo.








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