2017-06-29 13:18:00

Mons. De Donatis inizia il mandato di vicario generale del Papa per Roma


Inizia ufficialmente oggi il suo mandato di vicario generale per la Diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano mons. Angelo De Donatis. Succede al cardinale Agostino Vallini. Il servizio di Giada Aquilino:

Annunciare la misericordia di Dio “con la parola e la vita”. Questa la missione di mons. Angelo De Donatis, nuovo vicario per la Diocesi di Roma, com’egli stesso ha evidenziato nel saluto al Vicariato, invocando pure “il dono di saper ascoltare in profondità sempre”. Nominato dal Papa il 26 maggio scorso, mons. De Donatis - 63 anni, di origini pugliesi - dal 1983 è incardinato a Roma, di cui nel tempo è stato anche vescovo ausiliare. Una diocesi dunque che ben conosce, come spiega il padre carmelitano Lucio Zappatore, parroco della Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, intervistato da Luca Collodi:

R. - Mons. De Donatis è stato per anni parroco qui a Roma, a San Marco, poi è stato anche il responsabile della formazione del clero, quindi sono due cose molto importanti: il Papa ci ha affidato sicuramente in buone mani.

D. – Quali sono le sfide per la Chiesa romana?

R. – Il Papa sottolinea l’attenzione all’immigrazione e all’accoglienza. Inoltre la Chiesa di Roma è una Chiesa antica ma anche giovane, basti pensare che neanche 50-60 anni fa la città aveva 20-30 parrocchie, adesso ne ha 340. Quindi, è una Chiesa che in fondo è giovane per espansione. La sfida più grande allora è come armonizzare questa Chiesa giovane con la tradizione antica della Chiesa di Roma, il fondamento di questo legame con Pietro che è vescovo di Roma e Papa della Chiesa universale.

D. – Qual è, secondo lei, da parroco, il problema principale di Roma?

R. – Sicuramente la riscoperta della fede. Noi abbiamo perso la pratica della Messa domenicale, della partecipazione ai Sacramenti, molti lasciano dopo la Prima Comunione e non fanno più la Cresima. Sembrano cose superate: in realtà, lì è il fondamento della nostra fede che ci porta, poi, ad andare verso i poveri, ad essere accoglienti. Il cristianesimo è fondato su questa convinzione, che la fede ci porta ad amare tutti, a servire tutti. È chiaro poi che l’accoglienza degli immigrati, la valorizzazione delle risorse di Roma, tutte queste cose acquistano un sapore nuovo, profondo, diverso perché nascono dalla fede.

Sulle aspettative dei parroci e in generale delle comunità romane, Alessandro Gisotti ha intervistato don Maurizio Mirilli, parroco del Santissimo Sacramento a Tor de’ Schiavi:

R. - Ci aspettiamo sia - così come è stato fino ad oggi - un punto di riferimento per noi sacerdoti, un padre di famiglia. I laici in particolare si aspettano che ci sia un aggancio sempre più forte alle sollecitazioni, alle spinte che vengono da Papa Francesco per una Chiesa in uscita: quindi per una Chiesa sempre più vicina ai bisogni della gente, anche di quelli più lontani che si sentono un po’ messi ai margini, per una Chiesa vicina alle famiglie in difficoltà, vicina ai giovani. Quindi una Chiesa sempre più vicina, così come lo è il nostro vescovo, Papa Francesco. Noi parroci, soprattutto noi che ci troviamo in periferia, siamo un punto di riferimento non solo per le vicende ecclesiali, ma anche istituzionali, del quartiere. Siamo continuamente avvicinati dalla gente: ci vengono incontro gli anziani soli per chiedere una maggiore attenzione verso di loro; i bambini che desiderano giocare ma che magari non hanno un luogo nel quartiere dedicato al gioco, quindi apriamo gli oratori e cerchiamo di coinvolgerli; anche gli adolescenti che magari non sanno dove andare e stanno lì, seduti sulle scalinate della parrocchia, ci chiedono un luogo dove potersi ritrovare, così come le tante famiglie in difficoltà, le coppie separate, quelle in crisi. Sicuramente veniamo a contatto con le loro vite, con i loro bisogni, con le loro sofferenze, con le loro gioie. Siamo e rimaniamo punti di riferimento.








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