2017-06-24 14:01:00

Afghanistan: attacchi talebani scuotono il Ramadan, 230 morti


Il Ramadan si avvia alla conclusione dopo essere stato scosso da una scia di  attentati in diversi Paesi islamici. Per l'Afghanistan è stato il più sanguinoso degli ultimi 15 anni. La tv afghana Tolo News riferisce di oltre 230 morti e più di 800 feriti dall'inizio del mese sacro per i musulmani, il 27 maggio scorso. Intanto i talebani hanno lanciato un nuovo monito contro gli Stati Uniti che stanno valutando l'invio di altri soldati nel Paese. Il servizio di Marco Guerra:

Tra gli ultimi attacchi più sanguinosi quello di giovedì contro una filiale della Kabul Bank a Lashkar Gah, con almeno 34 vittime e 60 feriti, e quello del 31 maggio nella zona diplomatica di Kabul che ha portato alla morte di 150 persone. La nuova fiammata di violenze va avanti da inizio anno. Solo nei primi tre mesi del 2017 si contavano già 715 morti e oltre 1400 feriti. Secondo la stampa Usa, il segretario alla Difesa Jim Mattis starebbe valutando l’invio di ulteriori 5000 soldati per aiutare l’esercito afghano a superare  l'insurrezione dei talebani, il quali, dal canto loro, avvertono con un messaggio che ci sarà pace e dialogo solo con il ritiro completo delle truppe. Contraria al rafforzamento del contingente americano anche Mosca. Intanto oggi si registra la visita del ministro degli esteri della Cina a Kabul. Nei colloqui con il presidente Ashraf Ghani, fra le altre cose, si parlerà anche della stabilizzazione del Paese tramite una roadmap di dialogo con i talebani. Sulla situazione in Afghanistan ascoltiamo Riccardo Redaelli, professore di geopolitica all’Università Cattolica di Milano:

R. – In realtà, le violenze in Afghanistan non sono mai cessate se non proprio nei primissimi anni dopo la cacciata dei talebani nell’ormai lontanissimo fine 2001. La Nato, presente da 16 anni nel Paese, non è mai veramente riuscita a sconfiggere i talebani e a garantire un quadro di sicurezza consolidato. I problemi principali sono: i talebani, che non sono un movimento coeso quanto piuttosto una galassia, e rappresentano una minaccia militare costante per le forze armate nazionali afghane, le quali non collassano ma non riescono a sconfiggerli. Molto spesso ci sono parti del territorio che cambiano continuamente di mano, e una parte considerevole del territorio che è fortemente insicura. A questo si sono aggiunti i movimenti terroristici legati allo Stato islamico che è stato abbastanza capace di fare propaganda e fare proseliti. E infine, le profonde differenze, divergenze politiche all’interno del sistema politico di Kabul, la forte corruzione e l’incapacità di dare risposte alla vita quotidiana della popolazione. Questo mix spiega perfettamente perché la situazione sia estremamente precaria e perché ci sia ancora bisogno dell’aiuto internazionale.

D. – Resta il fatto che dopo quasi 16 anni di intervento internazionale, la situazione è tutt’altro che stabilizzata. Si è fatto qualche progresso? Perché tutto questo?

R. – Gli interventi di stabilizzazione – lo abbiamo scoperto in questi decenni – sono una faccenda lunghissima, penosa ed estremamente frustrante: inutile girarci intorno. Questa è la verità. Non solo in Afghanistan: ci sono missioni di peacekeeping che durano decenni. Tutto questo l’opinione pubblica non vuole saperlo, i governi non vogliono sottolinearlo ma è la realtà. In Afghanistan in particolare sono stati fatti tantissimi errori: politici, militari, strategici, abbiamo tollerato troppa corruzione da parte afghana, ma non si può dire che non sia cambiato nulla. L’Afghanistan di oggi è profondamente cambiato rispetto all’Afghanistan dei talebani: cioè, era uno dei posti più tristi e più feroci, l’analfabetismo femminile era a livelli – in alcune province – del 97%; oggi ci sono migliaia di scuole, ci sono centinaia di migliaia di studenti, anche bambine. Le donne lavorano – ci sono donne giornaliste; c’è una stampa, una stampa anche che discute, che prende i rischi di denunciare la corruzione; c’è una società che è profondamente trasformata e che ha trasformato gli stessi talebani, che oggi non parlano più di eliminare l’educazione femminile come facevano in passato. Quindi il dato culturale, il dato della crescita, della maturazione della società a me sembra abbastanza evidente. Certo, il risultato politico, militare e di sicurezza è davvero sconfortante.

D. – Comunque parliamo di una formazione che non è confrontabile con il cosiddetto Stato islamico: che cosa sono adesso i talebani afghani?

R. – I talebani afghani sono una galassia, prima di tutto; ma sono cose molto diverse tra loro. C’è una vecchia guardia ideologica che mi sembra minoritaria; c’è un gruppo che è fortemente dipendente dal Pakistan che nonostante tutto continua a usarli e ad aiutarli; ci sono i talebani locali più moderni e più disposti al compromesso politico e che agiscono sul terreno e non dal Pakistan. Ci sono poi gruppi come gli Akkani, che fanno un uso esteso del terrorismo e degli attentati suicidi perché vogliono ritagliarsi un ruolo forte nel Paese. E poi c’è, appunto, lo Stato islamico e gruppi che si ricollegano allo Stato islamico – anche se, a mio parere, sono meno forti di quanto vorrebbero apparire. Anche questi hanno difficoltà perché in questa frammentazione è difficile trovare un filo conduttore per aprire dei negoziati seri, tanto più che anche Kabul, le forze che sostengono il governo di Kabul, sono profondamente divise sul “come” negoziare e sul “se” negoziare.








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