2017-06-22 13:50:00

Non regge la tregua in Centrafrica: 100 morti negli scontri tra gruppi ribelli


Oltre cento morti e decine di feriti. E’ il nuovo bilancio dei violenti scontri esplosi a Bria, in Centrafrica, ad appena due giorni dalla firma, a Roma, con l’intermediazione della comunità di Sant’Egidio, di un cessate il fuoco tra il governo del presidente Touadera e i rappresentanti di 13 gruppi armati. Il servizio di Cecilia Seppia:

Processo di pace di nuovo minacciato in Centrafrica dove le milizie armate hanno ricominciato a mettere a ferro e fuoco la città di Bria, nella zona est del Paese, sparando all’impazzata per le strade contro civili inermi, alle 6 di ieri mattina. Decine i feriti, oltre 100 i morti ma ciò che stupisce e preoccupa è il fatto che appena 48 ore fa grazie all’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio era stato firmato un accordo per il cessate il fuoco tra il governo del presidente Touadera e 13 gruppi di ribelli. Una tregua fragile dice padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano a Bangui

R. – Non è una grande sorpresa, purtroppo era attesa; la tensione sta esplodendo e non c’è nessun serio programma di fermare gli atti ribelli. Ci sembra molto fragile come accordo, nel senso che ci sono vaghe promesse, ma poi concretamente dal punto di vista del popolo sono lì, sulla carta … Ancora oggi, io sono a Bukaranga, mi sono mosso al Nord: e le barriere ci sono tutte, sia del governo sia degli anti-Balaka che degli altri. Quindi è un accordo fragile in sé e per conto mio non tiene in conto anche tutte le vittime, tutte le persone – le centinaia di migliaia di persone – che sono fuori dal Paese.

D. – Quindi, di fatto, lei dice: è un’intesa buona anche se estremamente fragile; soprattutto, un’intesa che non è ancora diventata operativa …

R. – Sì questo è un lavoro che va fatto con preparazione: questo cessate-il-fuoco, chi è che lo controllerà? Chi lo metterà in vigore? Le misure coercitive per controllare non ci sono, mentre ci sono un sacco di garanzie per questi criminali che, per conto mio, non sono giuste …

D. – Un conflitto perenne, la povertà, la fame, insomma: come si vive in questo Paese?

R. – La gente vive male un po’ dappertutto; io sono qua a Bukaranga, oggi, dove c’è stato un forte attacco il 2 febbraio e anche qua la situazione è molto, molto tesa perché se pure adesso è tranquilla può succedere di tutto da un momento all’altro. La settimana scorsa, in un villaggio qua vicino, hanno fatto un’incursione, hanno rubato un centinaio di mucche tra cui 40 mucche per le suore, che servivano per l’ospedale che hanno. Quindi, la situazione è molto, molto fragile e non c’è nessun controllo, né da parte dello Stato e né dei caschi blu, perché non ce la fanno a seguire, a controllare tutto il Paese.

D. – C’è anche, poi, l’emergenza dei profughi e la situazione ovviamente più grave per chi non è riuscito a lasciare il Paese e quindi si trova all’interno della Repubblica Centrafricana in condizioni spesso disastrose …

R. – Al 31 maggio, l’Unhcr diceva che ci sono quasi un milione di sfollati, tra quasi 500 mila sfollati interni e altrettanti rifugiati fuori dal Paese. Quindi, un milione su una popolazione di quattro milioni e mezzo, è tanto!

D. – Qual è il vostro auspicio, il vostro appello, anche, per cercare di risolvere questa situazione che sembra irrisolvibile e che dura davvero da anni?

R. – Credo che bisogna fare un lavoro serio di riflessione e di riparazione e di preparazione accurata di accordi! Che si tengano in conto tutti gli elementi, non solo quelli di chi è armato ma soprattutto delle vittime, perché con un milione di gente fuori, persone vanno, firmano: con che responsabilità? Con che autorità firmano il fatto che mettono al primo posto l’integrità, la libera circolazione quando sono loro stessi che non lo permettono? Quindi molto c’è ancora da fare ma anche a livello dello Stato e delle Nazioni Unite, per cercare di arrivare  a mettere alle corde un po’ tutti, in modo da arrivare a degli equilibri concreti.

Medici senza Frontiere che opera nella città di Bria, a 500 Km da Bangui, ha subito mandato le sue due ambulanze sul posto, ma per molti dei feriti non c’è stato niente da fare. Lo stato di sicurezza nel Paese è costantemente minacciato nonostante gli sforzi della Comunità internazionale e della Santa Sede con il Papa che appena domenica scorsa all’Angelus aveva rivolto nuovamente il pensiero alla cara popolazione del Centrafrica:

“Porto nel cuore la visita che ho fatto nel novembre 2015 in quel Paese e auspico che, con l’aiuto di Dio e la buona volontà di tutti, sia pienamente rilanciato e rafforzato il processo di pace, condizione necessaria per lo sviluppo”.

L’auspicio è di lavorare insieme per colpire ai fianchi questo conflitto, fomentato da gruppi armati, che utilizzano metodi terroristici per prendere il controllo politico e sostituirsi al potere centrale.








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