“Il gesto compiuto oggi da Papa Francesco a Barbiana, quando, con la sua presenza, ha voluto rispondere positivamente alla richiesta di don Milani di essere ‘riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale’ è davvero importantissimo”. Ad affermarlo è Federico Ruozzi, coordinatore scientifico del progetto di edizione di fonti e dell’Opera Omnia di don Lorenzo Milani, pubblicata recentemente da Mondadori. “E’ un gesto – spiega Ruozzi – anticipato da una serie di altre scelte del Papa: come la recensione ai testi di don Milani fatta in occasione della recente presentazione a Milano. La visita di oggi mi pare poi ancora più importante perché compiuta da un Papa gesuita. Era stata infatti proprio la recensione durissima – una severa stroncatura – dell’opera ‘Esperienze pastorali’ del sacerdote fiorentino, pubblicata nel ’58 dalla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica a segnare l’incomprensione fra don Milani e la Chiesa di Roma che si concretizzò in un decreto del Sant’Uffizio”.
Non concepiva l’essere fuori dalla Chiesa
“Quello pronunciato da Francesco – spiega ancora lo
studioso – è un riconoscimento importantissimo proprio perché più volte sollecitato
dal Priore di Barbiana nelle sue lettere private al cardinale di Firenze Florit. Lui
sentiva l’esigenza fortissima di un riconoscimento pubblico dalla sua Chiesa, per
non vedere screditata la sua azione pastorale nei confronti dei suoi allievi, che
era la cosa che più gli stava a cuore. Ci teneva che venisse affermato che i suoi
insegnamenti erano ritenuti validi anche dalla sua Chiesa e non considerati la voce
di un prete isolato. Anche perché Milani non concepiva l’essere fuori dalla Chiesa,
non poteva vivere lontano dai Sacramenti”.
A Barbiana si poteva impazzire
“Il card. Betori, ricevendo il Papa, ha invitato la
Chiesa a non mitizzare Milani, ma a ripensare le ragioni per cui non fu compreso nei
suoi giorni. Sono parole molto importanti, quelle pronunciate oggi. A Barbiana oggi
abbiamo visto infatti atterrare l’elicottero papale, ma nel ’54 era una parrocchia
abbandonata, dove non c’erano elettricità e telefono e non arrivava la posta, nella
quale era inutile mandare un prete. E la grande forza di don Lorenzo, consapevole
di essere stato mandato lì in esilio dalla sua Chiesa, e che lì poteva impazzire,
fu quella di prendere quel luogo e trasformarlo nel luogo di una vera rivoluzione
ecclesiale e culturale. Oggi noi la guardiamo come si guarda un’esperienza di successo,
ma ricordiamoci che – in quelle condizioni – poteva anche non esserlo”.
Una fedeltà al Vangelo sempre ribadita
“Don Lorenzo Milani – conclude Ruozzi – oggi è famoso
ed è citato nelle antologie scolastiche. Ma non lo si può capire solo alla luce della
sua esperienza di educatore scolastico. Lui arrivò alla scuola come prete e sentì
che per essere aderente al messaggio evangelico in quel contesto doveva farsi educatore.
Come si evince dalle milleduecento lettere recentemente pubblicate per I Meridiani
di Mondadori la sua preoccupazione principale è sempre ribadire la fedeltà al Vangelo
e il suo essere prete”.
(a cura di Fabio Colagrande e Emanuela Campanile)
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