Ad un mese dalla vittoria presidenziale di Emmanuel Macron, la Francia torna al voto questa domenica per il primo turno delle elezioni legislative, che sceglieranno i 577 deputati della nuova Assemblea Nazionale. Secondo gli ultimi sondaggi, col movimento di ispirazione liberale e centrista ‘En Marche!’ - che intercetta anche i consensi dei moderati - Macron e la sua maggioranza potrebbero ottenere più di 400 deputati, ben oltre i 289 necessari per strappare il controllo assoluto del Parlamento. Invece il Front National (Fn) di Marine Le Pen, che il 7 maggio era riuscita a sfidare Macron al ballottaggio, potrebbe addirittura faticare ad aggiudicarsi i 15 deputati necessari per formare un gruppo parlamentare. Per un’analisi, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Parigi Massimo Nava, editorialista del Corriere della Sera:
R. – Se le previsioni saranno rispettate, al di là della proporzione dei numeri, il dato politico di fondo è che Emmanuel Macron otterrà una maggioranza assoluta o comunque con la ruota di scorta del ‘MoDem’ di François Bayrou, che tende ad avere un certo peso nel governo e nelle decisioni. L’altro dato è la probabile dimensione molto ridotta del Front National di Marine Le Pen e la rotta disastrosa del Partito Socialista. Mentre, anche se molto ridimensionato, dovrebbe tenere un partito che ha comunque una certa radicalizzazione nel territorio, ossia i Repubblicani.
D. – A minare la vittoria di Macron potrebbe essere l’inchiesta preliminare aperta dalla Procura di Parigi che in qualche maniera riguarda gli alleati centristi di ‘MoDem’?
R. – Sì, certamente, non sono segnali che fanno bene, anche se queste cose non incideranno più di tanto: si tratterebbe di piccoli spostamenti al massimo. E poi comunque c’è un secondo turno. Quello che mi pare decisivo ed evidente è il fatto che la scelta di Macron, e la probabile decisione di dare a Macron un’ampia maggioranza, è ampiamente rappresentativa di una nuova alleanza sociale che mette insieme i gollisti popolari, la sinistra riformista, i ceti urbani, i diplomati e che lascia un po’ fuori la Francia “arrabbiata”, la Francia delle periferie, che chiaramente Macron si è impegnato a non lasciare per strada.
D. – Quanto la minaccia terroristica pesa sul voto?
R. – L’idea che a un attentato o a una minaccia di attentato segua una reazione in un senso piuttosto che in un altro secondo me è venuta meno proprio per la successione di eventi. Oggi il Paese chiede sicurezza.
D. – In netta caduta il Front National di Marine Le Pen: paga lo scotto del ballottaggio perso con Macron o ci sono altri motivi?
R. – Il primo scotto è sicuramente quello del ballottaggio perduto e perduto male con Macron; quindi adesso c’è immediatamente una messa in discussione, per ceti aspetti, persino della linea politica. Abbiamo avuto le dimissioni di Marion Maréchal, la nipote più ortodossa e conservatrice, e poi lo scontro tra i colonnelli di Marine Le Pen. Certo, la sua leadership, almeno per il momento, non è in discussione.
D. – Con un’Assemblea Nazionale così rinnovata dove va la Francia?
R. – Credo che il dato di fondo, per i ceti sociali e professionali che si affacciano anche per la prima volta al Parlamento, sarà un discorso di profonde riforme soprattutto in termini economici: quindi riforma dello Stato, del mercato del lavoro, dell’amministrazione. Soprattutto, il tema del mercato del lavoro è quello su cui c’è già un calendario fittissimo di consultazioni. Poi, naturalmente, sullo sfondo il discorso terroristico rimane ovviamente fondamentale. E inoltre ci sono tutte le varie tematiche: anche la questione dello scenario internazionale-diplomatico non è dei più semplici in questo momento, dopo le posizioni assunte dagli Stati Uniti, la crisi mediorientale... E ovviamente uno dei punti di forza e di impegno di Macron è il rilancio dell’asse franco-tedesco.
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