2017-05-29 14:15:00

Africa: 50 anni fa il dramma del Biafra tra guerra e carestia


Cinquanta anni fa, in seguito a contestate riforme territoriali della Nigeria, il Biafra si proclamava indipendente. La decisione innescò un sanguinoso conflitto tra lo Stato centrale e la Regione. Il Biafra, 14 milioni di abitanti per lo più cristiani e per due terzi di etnia igbo, zona ricchissima di petrolio e materie prime, visse per quasi tre anni prima che la secessione venisse soffocata, anche a causa di una gravissima carestia. Circa un milione le vittime. Secondo molti osservatori, quella vicenda ha provocato ferite mai rimarginate. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il padre comboniano Giulio Albanese, direttore delle riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie:

R. – La cornice era quella della Guerra Fredda: alcune Nazioni riconobbero ufficialmente questa nuova repubblica secessionista e poi ci furono anche le interferenze di quelle che erano le potenze del tempo. Per esempio, ci fu un appoggio da parte del governo di Parigi in funzione anti-britannica – ricordiamo che la Nigeria è una ex colonia inglese – e poi, ancora, vi fu un appoggio da parte di quelle Nazioni africane, che avevano governi all’insegna dell’apartheid, come la Rodesia e il Sudafrica. È chiaro che gli interessi economici sono quelli che hanno condizionato moltissimo lo scenario del tempo. Parlare della Repubblica del Biafra significa parlare di “inferno e paradiso”, perché da una parte è una porzione della Nigeria, che davvero galleggia sul petrolio; dall’altra a quei tempi c’era una forte esclusione sociale, che per certi versi permane anche oggi. A quel tempo c’era un élite culturale, che certamente giocò un ruolo importante; dall’altra vi era il malessere, che rappresenta una costante ancora ai giorni nostri. Il problema di fondo era rappresentato, ed è rappresentato ancora, dall’identitarismo, vale a dire dal fatto che, all’interno di questi grandi Stati africani, disegnati dalle ex potenze coloniali, vi sono una molteplicità di gruppi etnici, veri e propri popoli che fanno fatica a sperimentare quell’integrazione che è un bisogno e una necessità. Di fronte all’esistenza di una molteplicità di gruppi etnici, c’è sempre un’etnia, quella dell’oligarchia dominante, che prende il sopravvento sulle altre.

D. - C’è il rischio che quelle istanze che causarono la guerra del Biafra, esplodano anche oggi in una Nigeria che tra l’altro è alle prese anche con altri problemi?

R. – Certo. Il problema riguarda sicuramente ancora il Biafra, perché sotto quelle ceneri ci sono ancora carboni accesi. In questi ultimi 50 anni ci sono state spinte secessioniste che, in una maniera o nell’altra, il governo centrale di Abuja ha cercato di contenere. Poi non dimentichiamo che c’è il problema del Nord della Nigeria: i Boko Haram, questa formazione jihadista, estremista, comunque spinge per affermare l’autodeterminazione delle regioni del Nord della Nigeria, che sono di tradizione islamica.

D. - In questa Nigeria, oggi cos’è il Biafra?

R. - Il Biafra continua ad essere una delle regioni con grandi potenzialità: c’è sicuramente una società civile che sta alzando la testa, ma direi in modo perspicace, intelligente. Diciamo che in questi anni ci sono stati anche notevoli investimenti soprattutto dal punto di vista dell’istruzione, ma c’è soprattutto l’impegno a contrastare l’esclusione sociale anche se però, purtroppo, la povertà rappresenta uno dei grandi paradossi non solo del Biafra, ma direi della Nigeria in senso lato.








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