2017-05-25 08:11:00

Manchester, il fratello dell'attentatore: "Siamo dell'Is"


Prosegue senza sosta la caccia ai complici di Salman Abedi, l’attentatore all’Arena di Manchester, un attacco nel quale sono morte 22 persone e ne sono rimaste ferite un centinaio. Otto le persone fermate, una di loro poi rilasciata, mentre in Libia sono stati arrestati padre e fratello del kamikaze. Francesca Sabatinelli:

E’ una fitta rete quella dietro le spalle di Salman Abedi, ormai certo non essere mai stato un lupo solitario. Mentre in ospedale circa venti persone, tra loro molti bambini, lottano ancora per la vita, in Libia, Paese di origine della famiglia Abedi, sono stati arrestati il padre e il fratello minore, il ventenne Hashem, che avrebbe confermato l’appartenenza all’Is sua e del fratello kamikaze. Otto in totale gli arresti compiuti nel Regno Unito, a carico di potenziali complici o fiancheggiatori, uno dei fermati, una donna, è stato poi rilasciato.  A far vacillare l’ipotesi del gesto isolato anche la fattura dell’ordigno, sufficientemente sofisticato, di qui la certezza che esista una cellula ancora attiva. Il grado di allerta nel Paese è stato portato al livello ‘critico’, quello di quando si ipotizza un nuovo possibile attacco e Londra, così come altri luoghi sensibili, è stata militarizzata. E intanto, mentre sale la tensione tra Stati Uniti e Gran Bretagna per la fuga di notizie circa i particolari dell’attentato, la Nato ha ufficialmente annunciato il suo ingresso nella coalizione anti-Is. 

L'analisi di Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore: 

R. – Stiamo assistendo a una moltiplicazione e a una diversificazione non solo degli strumenti ma anche degli obiettivi e delle località in cui gli attentati vengono compiuti, e questo proprio per cercare di sfuggire più facilmente alla rete di prevenzione. Dobbiamo andare avanti e cercare di capire bene come sia potuto succedere, ma allo stesso tempo va riconosciuto che la sicurezza per chiunque, sempre e dovunque e comunque è un obiettivo utopistico e irrealizzabile: non c’è attività umana che non sia esposta a rischio e anche questo fa parte, purtroppo, del novero dei rischi in questo momento. Credo che il messaggio che va detto con molta chiarezza sia che siamo vulnerabili, ma non inermi.

D. – Non si è tranquilli da nessuna parte, ma forse la militarizzazione dell’Europa in realtà non servirebbe comunque a nulla …

R. – La militarizzazione è un pezzo di una strategia complessiva. E’ ovvio che bisogna aumentare la sorveglianza video, la sorveglianza elettronica, la presenza sul territorio e quindi in questo senso la militarizzazione ha una sua utilità. Vanno messe in atto attività di anti-radicalizzazione che è lo step immediatamente precedente all’arruolamento, però bisogna anche essere molto franchi: l’integrazione, l’accoglienza eccetera, queste cose rispetto al terrorismo e alla prevenzione del terrorismo hanno un’efficacia quasi zero. L’integrazione serve a evitare che si aumenti il bacino delle possibili reclute, ma quelli che hanno deciso di radicalizzarsi sono già radicalizzati, sono magari già passati alla lotta armata. Non è che se facciamo politiche di maggiore integrazione cambiano idea. L’integrazione serve per limitare il bacino dei potenziali, ma non serve a niente contro gli effettivi. E, seconda cosa, va chiarito che l’integrazione è un valore che va perseguito perché la società che integra è una società migliore di una società che non integra. Ma non illudiamoci che se diventiamo tutti più buoni e comprensivi abbiamo risolto il problema, perché chi abbiamo di fronte ha una sua idea politica, ha una sua concezione che non si interfaccia con la nostra, di quelli che ritengono che l’utilizzo della violenza contro gli inermi sia una cosa inaccettabile. Su questo bisogna essere molto franchi. Il punto principale è che i Paesi da cui queste persone originano sono in gran parte Paesi governati da autocrazie, più spesso anche cleptocrazie, quindi da sistemi totalmente illiberali e corrotti che impediscono il cambiamento di quelle società e quindi impediscono di integrarsi lì, in quelle società, nella libertà. E rendono il messaggio della violenza l’unica soluzione possibile, secondo alcuni, e quindi l'ideologia islamista radicale come appetibile. Solo la trasformazione di quei regimi consentirà che le società si sviluppino, che queste ideologie di morte diventino obsolete e che quindi alla fine non siano neanche più interessanti per la diaspora e i figli della diaspora di queste regioni. Quindi è lì che va sostenuto il cambiamento.

D. – Negli ultimi anni si è parlato molto dei foreign fighters: stiamo assistendo adesso a questo fenomeno di ritorno. Foreign fighters radicalizzatisi in Europa, andati a fare i combattenti in zone di conflitto che ora tornano …

R. – E certo. E infatti, questo è un problema di difficilissima soluzione. Quando ci trovammo di fronte al primo fenomeno rilevante di foreign fighters, la soluzione che gli Stati Uniti pensarono – e che tuttora è in piedi, non dimentichiamocelo! – è Guantanamo. Non sono i soldati di un esercito sconfitto che ha capitolato, e non sono però neanche dei criminali che devono scontare una pena alla fine della quale possono essere rimessi in libertà. E’ gente che ormai è passata dall’altra parte, totalmente, in maniera identitaria. La risposta – evidentemente piena di lacune e non accettabile dal punto di vista giuridico – fu Guantanamo: il limbo. Ma questo non si può fare. L'unica cosa che si può fare è sorvegliarli, vanno sorvegliati, vanno tenuti sotto osservazione. Ma non è che ci siano grandi alternative. Nella speranza, poi, che appena commettono un reato – che non sia di questo tipo, ovviamente, ma minore – possano essere perseguiti e condannati dopo un regolare processo. Ma finché non sono sconfitti i problemi all’origine, non avremo un esercito allo sbando: avremo soldati in sonno, infiltrati, sempre e comunque. Non potremo mai fidarci di un ex-foreign fighter, finché quell’ideologia “tira”. Conviveremo a lungo, purtroppo, con questa minaccia che non ha nessuna chance di sconfiggerci – questa è un’altra cosa che va chiarita – se facciamo le mosse giuste. Le mosse giuste sono evitare di dire “ok, governa i tuoi come vuoi”: l’autodeterminazione è dei popoli, non è l’autodeterminazione dei tiranni. E questo è un punto che non va dimenticato …








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