2017-05-04 14:20:00

Trump: vogliamo creare la pace tra israeliani e palestinesi


“Vogliamo creare la pace tra Israele e i palestinesi e ci arriveremo”. Così il presidente degli Stati, Uniti Donald Trump, dopo l’incontro di ieri con il presidente palestinese Abu Mazen. Trump si propone come mediatore nel dialogo tra le parti, ma aggiunge che non ci potrà essere una pace durevole se i dirigenti palestinesi non condannano gli appelli alla violenza. Il presidente palestinese Abu Mazen condivide le speranze per un trattato di pace e conferma la soluzione dei due Stati con i confini del ’67, dice che i palestinesi riconoscono lo Stato di Israele, cui però ribadisce la richiesta di mettere fine all’occupazione delle terre palestinesi. Inoltre, nella dichiarazione al termine dell’incontro con Trump, il leader dell’Anp si dice fiducioso che israeliani e palestinesi saranno in grado di risolvere il problema dei rifugiati e dei prigionieri. Su questi nuovi spiragli di pace per il Medio Oriente Elvira Ragosta ha intervistato Camille Eid, giornalista libanese e collaboratore del quotidiano “Avvenire”:

R. – Si aprono spiragli, ma non vorrei essere eccessivamente ottimista, perché si denota comunque una determinazione di Trump a trovare una soluzione al conflitto mediorientale, ma i contorni sono alquanto vaghi; non sappiamo se la soluzione sarà quella proposta dai palestinesi – la soluzione dei due Stati – e quali saranno poi i meccanismi. Trump si propone come mediatore, però sappiamo che la prima funzione o caratteristica di un mediatore è quella dell’imparzialità e finora Trump non ha dato abbastanza garanzie alla parte palestinese della sua imparzialità. Staremo a vedere perché è alla Casa Bianca da appena cento giorni. Quindi vedremo se ci saranno i passi successivi e se la quesitone palestinese soprattutto avrà la stessa priorità che ora ha la quesitone coreana o quell’Is sullo scacchiere mondiale.

D. - Quali potrebbero essere i passi successivi nel dialogo tra le due parti?

R. - Chiaramente la ripresa dei negoziati. Ci sono degli indizi che vanno in questa direzione, nel senso che nelle ultime settimane ci sono stati ripetuti incontri tra Mahmoud Abbas e il Re di Giordania o con il presidente egiziano Al Sisi. Quindi ci sono degli indizi su una ripresa dei negoziati quantomeno. Poi il fatto che Hamas abbia, non dico cambiato, ma rivisto la sua carta fondamentale riguardo i futuri confini dello Stato palestinese, potrebbe essere un’ulteriore indizio in questa direzione, per dire almeno che i negoziati tra Israele e Palestina devono partire da un’unica voce da parte palestinese, cosa che ha detto lo stesso Trump.

D. - Restano infatti difficili i rapporti tra Anp e Hamas. Quanto potrà influire questa situazione nella ripresa del dialogo?

R. - Tantissimo. Abbiamo menzionato il fatto positivo, quello della revisione quantomeno della carta fondamentale sui confini, che può essere sì una mossa strategica da parte di Hamas, però ho visto che i commenti all’incontro tra Trump e Abbas da parte di Hamas non sono stati proprio entusiasmanti, nel senso che hanno parlato di una perdita di tempo, di una scommessa persa, che Abbas non insiste troppo sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi … Insomma, ci sono molte questioni ancora da chiarire all’interno della questione palestinese.

D. - Da parte israeliana ci sono state delle dichiarazioni dopo l’incontro tra Trump e Abu Mazen...

R. - Ho letto i commenti. Si aspettano da parte americana delle pressioni, ma su questo avrei dei dubbi, e poi si aspettano, come una specie di compensazione, il promesso trasferimento dell’ambasciata americana – anche gradualmente - da Tel Aviv a Gerusalemme, così come aveva promesso Trump durante al sua campagna elettorale. Quindi si aspettano delle pressioni su entrambe le parti.








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