2017-04-27 12:00:00

Usa: Trump taglia le tasse e premia le imprese


Il più grande taglio delle tasse nella storia degli Stati Uniti. A cento giorni dall’insediamento alla Casa Bianca, il presidente Trump vara un piano rivoluzionario per imprese e persone fisiche. Washington, intanto, annuncia anche la permanenza nel Nafta. Francesca Sabatinelli:

E’ un maxi-regalo per le imprese il piano di Trump, che abbassa dal 35 al 15% l’imposizione e riduce da 7 a 3 gli scaglioni di imposta per i contribuenti, con una aliquota massima del 35%. Sempre per le imprese, inoltre, sarà permesso di rimpatriare la liquidità all’estero, pagando una sola volta l’imposta sull’operazione. Obiettivo finale: la crescita esponenziale dell’economia e dei posti di lavoro, nonché favorire anche le persone fisiche abolendo la tassa di successione e l’aliquota minima sui più ricchi. Ciò che la Casa Bianca non specifica è però come verranno compensati i tagli che, per molti, andranno ad influire pesantemente sui conti pubblici.

“A pagare la riforma sarà la crescita economica”: spiega il segretario al Tesoro Mnuchin, ma si tratterà di vedere quanto ci crederanno i mercati con Wall Street che, dopo una prima euforia, è tornata a guardare Washington con cautela, in attesa che il Congresso voti la riforma. Nel frattempo, Trump ha assicurato a Canada e Messico che gli Stati Uniti non usciranno dall’accordo Nafta, il trattato di libero scambio che sarà rinegoziato in tempi brevi.

Scettico circa la possibilità che l'amministrazione Trump possa reperire i fondi per compensare i tagli alle tasse si dice l'economista Leonardo Becchetti, intervistato da Francesca Sabatinelli:

R. – Con Trump bisogna sempre vedere i fatti. Ha annunciato il muro con il Messico per vincere le elezioni e poi ha detto che adesso non ci sono i soldi per farlo. Lo aspettiamo alla prova dei fatti, anche perché non si capisce come trovare la coperture per un intervento del genere che costerà svariati miliardi, si parla di una riduzione di venti punti percentuali dell’aliquota fiscale sulle imprese. Nel caso in cui riesca trovare le coperture, senz’altro si tratta di una misura che attirerà molte aziende a porre la sede fiscale negli Stati Uniti. Bisogna poi vedere se questo determinerà un vero aumento delle attività produttive in quel Paese. Sappiamo bene quello che è successo in alcuni paradisi fiscali o pseudo tali: sono Paesi che hanno abbassato moltissimo il prelievo, poi figura che in questi Paesi ci sia molta attività economica, ma in realtà non c’è perché le imprese mettono solo le sedi fiscali in quei Paesi.

D. - Il segretario al Tesoro ha spiegato che questa riforma non andrà a pesare sui conti pubblici perché verrà pagata dalla crescita economica …

R. - Questa è la famosa ipotesi della ‘curva di Laffer’, cioè l’idea che abbassando le tasse, l’attività economica aumenti talmente tanto da ripagare poi l’intervento stesso. È tutto da dimostrare. Non successe ai tempi di Reagan e probabilmente non succederà nemmeno in questo caso.

D. - Resta da vedere tra l’altro se la riforma passerà al Congresso perché, di sicuro i democratici non l’hanno apprezzata, ma anche parte dei repubblicani non sono tanto entusiasti …

R. - Quello che è certo è che le prime mosse delle politiche fiscali di Trump sono sicuramente in direzione contraria a quelli che potevano essere gli interessi dei ceti medio-bassi che pure l’hanno votato: l’abolizione della tassa di successione, la riduzione dell’Obamacare e la riduzione del prelievo fiscale soprattutto per i più ricchi.

D. - Wall Street ha in un primo tempo reagito abbastanza bene. Dopo di che questo entusiasmo è scemato. Perché questa rapida successione di comportamenti diversi?

R. - Ma in realtà per vedere bene la risposta delle borse ad un determinato evento ci vorrebbero delle analisi molto più approfondite. Non dimentichiamoci che quello che misurano le borse non è il benessere dei cittadini, ma la crescita o meno dei profitti aziendali. E che questo poi si traduca in effettivo benessere va appurato e non è sempre vero.

D. - Lei all’inizio ha sottolineato questo dietro front sul discorso del muro di separazione tra Stati Uniti e Messico. In realtà, nelle ultime ore ne è stato fatto anche un altro, riguarda il Nafta. All’inizio Trump disse che gli Stati Uniti ne sarebbero usciti, oggi garantisce a Canada e Messico che non ne usciranno, ma che il Trattato sarà rinegoziato. Che vuol dire?

R. - Vuol dire che dobbiamo seriamente porci anche il problema di quello che accade in campagna elettorale in democrazia e di quanto la gente creda in realtà e vada dietro a promesse dei candidati, spesso non mantenute o irrealizzabili. Evidentemente Trump ha pensato, all’inizio ingenuamente, di poter rilanciare, con un politica protezionista ed autarchica, la crescita negli Stati Uniti e l’occupazione. Si è poi accorto che il mondo è integrato, e del fatto che comportamenti protezionistici scatenano reazioni da parte degli altri Paesi che sono negative per chi fa partire la prima mossa protezionistica. Quindi è tornato a più miti consigli, ha capito che l’integrazione è necessaria per tutti. Però questo, diciamolo, lo ha appreso dopo esser stata eletto, non prima.








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