2017-04-14 18:57:00

Cantalamessa: la Croce è il sì definitivo all'amore e il no all'odio


“La croce non sta immobile in mezzo agli sconvolgimenti del mondo come ricordo di un evento passato o un puro simbolo ma come una realtà in atto, viva e operante”. Così padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell’omelia pronunciata nella Basilica di San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore presieduta da Papa Francesco. Il servizio di Cecilia Seppia:

La morte di Gesù ha cambiato il volto della storia
Una morte violenta quella di Cristo, come le tante notizie di morti che affollano quotidiani e telegiornali, come quella dei bimbi siriani straziati dalle armi chimiche, come quella brutale dei 38 cristiani copti uccisi in Egitto la domenica delle Palme. Eppure, diversamente da quanto accade con i fatti di cronaca, subito dimenticati per l’eco di qualche altra tragedia, la morte di Gesù, viene ricordata ancora dopo 2 mila anni, come fosse accaduta ieri e questo perché ha cambiato per sempre il volto della storia, il senso della morte stessa. Così padre Raniero Cantalamessa nell’omelia  pronunciata in San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Papa Francesco che all’inizio della liturgia sosta in preghiera, prostrato a terra. 

La Croce è il No definitivo e irreversibile all'odio 
Nel suo discorso, il predicatore della Casa Pontificia ripercorre il senso di quella salvezza annunciata dai profeti e incarnata dal Figlio di Dio, l’Agnello immolato, trafitto, ma in piedi, risorto e vivo, descritto come “cuore del mondo”. Poi si sofferma sul significato profondo della croce, protagonista di questo Venerdì Santo:

“Essa è il No definitivo e irreversibile di  Dio alla violenza, all’ingiustizia, all’odio, alla menzogna, a tutto quello che chiamiamo 'il male'; ed è contemporaneamente il 'Si' altrettanto irreversibile all’amore, alla verità, al bene. 'No' al peccato, 'Sì' al peccatore. È quello che Gesú ha praticato in tutta la sua vita e che ora consacra definitivamente con la sua morte. La ragione di questa distinzione è chiara: il peccatore è creatura di Dio e conserva la sua dignità, nonostante tutti i propri traviamenti; il peccato no; esso è una realtà spuria, aggiunta, frutto delle proprie passioni e della invidia del demonio”.

La Croce dà senso a tutta la sofferenza della storia
La Croce – afferma padre Cantalamessa – non sta dunque contro il mondo ma per il mondo, per dare senso a tutta la sofferenza che c’è stata e ci sarà nella storia umana, essa è proclamazione vivente che la vittoria finale non è di chi trionfa sugli altri ma su se stesso, non di chi fa soffrire ma di chi soffre:

“La croce non sta immobile in mezzo agli sconvolgimenti del mondo come ricordo di un evento passato, o un puro simbolo; vi sta come una realtà in atto, viva e operante”.

La Croce è l'unica speranza del mondo
E questo è vero sempre, trasversale in tutte le epoche e le società  del mondo, ancora di più in quella attuale, frantumata, “liquida” senza più punti fermi e valori indiscussi sintetizzata alla perfezione dal crocefisso dipinto da Salvador Dalì, sospeso tra cielo e acqua, elemento liquido del mondo:

“Questa immagine tragica, c’è anche, sullo sfondo, una nube che potrebbe alludere alla nube atomica, contiene però anche una consolante certezza: c’è speranza anche per una società liquida come la nostra! C’è speranza, perché sopra di essa 'sta la croce di Cristo'. È quello che la liturgia del Venerdì Santo ci fa ripetere ogni anno con le parole del poeta Venanzio Fortunato: 'O crux, ave spes unica', Salve, o croce, unica speranza del mondo”.

Gesù non è venuto a spiegare le cose ma a cambiarle
L’avvertimento di padre Cantalamessa è però di non fermarci, come fanno i sociologi all’analisi della società in cui viviamo guardando solo al cuore duro, di pietra e tenebre che può ammassarsi in seno all’umanità, ma di seguire l’esempio di Cristo che non è venuto a spiegare le cose piuttosto a cambiarle, a mettere in ciascuno un cuore di carne, attento al grido di chi soffre:

“Cuore di pietra è il cuore chiuso alla volontà di  Dio e alla sofferenza dei fratelli, il cuore di chi accumula somme sconfinate di denaro e resta indifferente alla disperazione di chi non ha un bicchiere d’acqua da dare al proprio figlio; è anche il cuore di chi si lascia completamente dominare dalla passione impura, pronto per essa ad uccidere, o a condurre una doppia vita. Per non restare con lo sguardo sempre rivolto all’esterno, agli altri, diciamo più concretamente: è il nostro cuore di ministri di Dio e di cristiani praticanti se viviamo ancora fondamentalmente 'per noi stessi' e non per il Signore”.








All the contents on this site are copyrighted ©.