2017-04-11 15:00:00

Usa frenano G7 energia. Greenaccord: serve governance mondiale


Brusca frenata sul clima al G7 energia di Roma da parte degli Stati Uniti. Il cosiddetto "effetto Trump" ha reso impossibile una dichiarazione congiunta sul cammino per il rispetto degli impregni presi alla Conferenza di Parigi. Dal premier italiano, Gentiloni, il fermo avvertimento che l'Europa accoglie l'opinione di tutti ma non accetta passi indietro. "Italia e Ue non cedono di un millimetro". I particolari da Paola Simonetti:

La revisione delle politiche sul clima da parte degli Stati Uniti è stato lo sbarramento che ieri ha impedito una dichiarazione congiunta al G7 dell'Energia di Roma. Il primo, concreto segnale del colpo di spugna messo in atto da Trump, rispetto alle posizioni dell'ex presidente Obama, in tema di emissioni delle industrie americane . A darne notizia è stato il ministro italiano dello Sviluppo economico e presidente di turno del summit Calenda che tuttavia ha ribadito che "L'impegno a implementare l'accordo di Parigi rimane forte e deciso per tutti i Paesi dell'Unione europea, si è trattato - ha aggiunto di un dibattito molto costruttivo con gli Usa: non c'è stata alcuna frizione". Una posizione diplomatica questa, che implicitamente, il premier italiano, Gentiloni ha lasciato intendere di non condividere: "l'Europa accoglie l'opinione di tutti - ha precisato - ma non accetta passi indietro rispetto agli impegni sulla lotta al cambiamento climatico". E se l'accordo non c'e' stati, tuttavia gli altri membri del G7 e l'Ue hanno confermato il proprio impegno "forte e deciso" a proseguire un cammino "pulito" sul fronte clima. Sullo sfondo le proteste degli attivisti di Greenpeace, che hanno consegnato ai ministri delle sette grandi potenze mondiali un gigantesco termometro, simbolo della temperatura del Pianeta che continua a salire.

Per un commento sul mancato accordo per una dichiarazione congiunta, Massimiliano Menichetti ha intervistato Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord:

R. – Ci sono due considerazioni da fare. Intanto il presidente di uno Stato può, forse, decidere del futuro dei propri cittadini ma non del futuro del pianeta. E quando parliamo di cambiamenti climatici le emissioni di un singolo Paese riguardano il futuro di più di un miliardo di persone, che vedranno messa a rischio la loro sopravvivenza su questo pianeta. Questo ci induce a pensare che forse ci vorrebbe qualche strumento di governance più forte, come richiamato anche dall’Enciclica del Santo Padre, Laudato Si’, una governance internazionale che imponga il rispetto del diritto dei più poveri. Quindi forse è l’ora di considerare l’atmosfera come un bene comune e chi viola questo bene comune deve pagare delle sanzioni. Questa è la prima considerazione. La seconda guarda ai Paesi con i poveri, penso all’India che ha una grande quantità di carbone e che a fatica è stata convinta ad aderire all’Accordo di Parigi: come può sentirsi e procedere e di fronte al Paese più ricco del mondo che decide invece di usare il carbone a suo piacimento? C’è un fattore etico importante da considerare. Su tutto trovo estremamente deboli le reazioni del G7.

D. - Proprio su questo punto, è stato ribadito che non c’è stata alcuna frizione con gli Stati Uniti, si è parlato di dibattito costruttivo. Sembra un po’ un controsenso …

R. - Posso capire che per cerare di uscire da questa empasse sia necessaria prudenza e diplomazia, però è importante che ci sia una voce forte che richiami agli impegni presi, alle responsabilità globali questo grande Paese, gli Stati Uniti, e il suo presidente. Quindi mi sarei aspettato una voce aperta alla discussione, ma determinata, decisa al richiamo al rispetto degli impegni presi.

D. - Parigi segna uno spartiacque. Poi l’anno scorso Marrakech in Marocco ha pianificato la stesura degli accordi. Adesso l’effetto Trump …

R. - L’Accordo di Parigi ha nella sua forza l’adesione di tutti i Paesi del mondo e una certa attenzione nuova da parte del mondo della finanza. Siamo nella fase in cui vanno scritti i meccanismi di attuazione. Marrakech è stato un passaggio preliminare, adesso, prossimamente a Boston, si cominceranno a mettere nero su bianco i meccanismi per far funzionare l’accordo. In questo momento delicato ogni atteggiamento distruttivo del tirarsi fuori mette a rischio l’intero sistema. A poco serve che gli altri mantengano l’impegno se un solo Paese importante e grande come gli Stati Uniti si tira fuori. Non avremmo salvato il clima del pianeta che è l’unico obiettivo che abbiamo.

D. - Ma il rischio quindi è che adesso tutto si vanifichi?

R. - Penso di no. Però è molto importante tenere il punto con fermezza. Penso di no, perché l’accordo, comunque, è stato firmato dagli Stati Uniti e tirarsi fuori da un impegno del genere è complicato e  non si può dall’oggi al domani. Inoltre il sistema di governance degli Stati Uniti consente in questa materia ai singoli Stati di muoversi secondo i loro principi e secondo i loro impegni. Quindi probabilmente ci sarà anche una spaccatura interna al Paese; la cosa sarà molto lunga, non sarà così semplice distruggere in poco tempo quello che si è firmato soltanto un anno fa.








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