2017-04-07 15:05:00

Thailandia: re firma nuova Costituzione, militari ancora al potere


In Thailandia il re Maha Vajiralongkorn ha firmato la nuova Costituzione che apre la strada a nuove elezioni politiche, dopo tre anni di potere tenuto dalla giunta militare. Tuttavia, gran parte degli schieramenti politici definisce la Carta antidemocratica, giacché consentirebbe ai militari di mantenere il controllo. Intanto stamani nelle province meridionali a maggioranza musulmana sono esplosi decine di ordigni che hanno abbattuto diverse linee elettriche senza provocare vittime. Le autorità puntano il dito contro i ribelli islamisti. Sulla situazione in Thailandia, Marco Guerra ha intervistato Stefano Vecchia, giornalista esperto dell’area:

R. - Sicuramente la nuova Costituzione thailandese è un atto in qualche modo dovuto. Dovuto anzitutto alla popolazione che vive da oltre un decennio ormai in una situazione di grave incertezza e anche di violenza diffusa, proprio per gli svolgimenti politici e anche perché i militari non hanno assolutamente accettato i governi civili che si sono succeduti dopo l’uscita di scena dell’ex premier Thaksin Shinawatra, finito volontariamente in esilio nel 2008 e inseguito ora da un mandato di cattura per corruzione. E’ un elemento che potenzialmente stabilizza la situazione thailandese però per molti è anche un elemento che in realtà introduce nuovi punti di contrasto e quindi di tensione. La firma del re è un atto dovuto da questo sovrano. Ricordiamo che la Thailandia è una monarchia costituzionale dal 1932, anche se di fatto l’aristocrazia e in particolare i militari non hanno mai rinunciato a un ruolo determinante sulla vita del Paese.

D. - I critici della nuova Carta sottolineano che è antidemocratica. Perché?

R.  – Lo fanno partendo da un presupposto: cioè, la nuova Carta costituzionale è stata elaborata sotto un regime militare che ha preso il potere con un colpo di Stato nel maggio 2014, un colpo di Stato che ha chiuso tutte le porte a una democrazia parlamentare e che di fatto poi ha visto creare delle istituzioni che sono o generate direttamente dai militari o da esse influenzate. La Costituzione è stata discussa e poi approvata da queste istituzioni. Di conseguenza per gli oppositori non è parte di un percorso democratico.

D. – I militari sono al potere dal 2014 ed è ancora sconosciuta la data delle prossime elezioni. Qual è l’attuale quadro politico e quali scenari si apriranno con l’approssimarsi del voto?

R. – In realtà la data è conosciuta, è stata spostata ulteriormente alla fine del 2018,dopo una serie di altri rinvii; inizialmente era stata prevista nel 2015, poi via, via è stata spostata anno dopo anno tenendo presente che è un elemento drammatico, fortemente per molti anche di svolta della realtà thailandese che è stata la morte del sovrano Rama IX, lo scorso ottobre. Di conseguenza ha dato una ragione a che le elezioni non si tenessero l’anno scorso in autunno ed è venuta a mancare un’altra finestra opportuna per queste elezioni, che a questo punto ufficialmente - ma in parte adesso ci sono già delle ritrattazioni di ambiente militare - è stata ancora ulteriormente prorogata a fine 2018.

D.  – Poco dopo il re ha firmato la costituzione e ci sono stati una serie di attacchi nelle regioni del Sud a maggioranza musulmana. Quali sono i fronti più turbolenti del Paese che resta ancora instabile?

R. – Dire che sono sostanzialmente due. Una è sicuramente questa insurrezione delle province a maggioranza musulmana del Sud che è una situazione che viene da lontano, dall’annessione del regno thailandese di queste aree che sono di lingua malese e di religione musulmana in un Paese ad alta maggioranza buddista. Questa situazione è stata aggravata da una repressione che viene sovente stigmatizzata anche dalle organizzazioni internazionali. E adesso corre il rischio tra l’altro di infiltrazioni di jihadismo globale anche in queste aree. Il secondo fronte è quello interno, cioè di movimenti legati con processo democratico, per quanto parziale, in stile thai; altri che sono legati all’ex primo ministro di cui accennavo prima, ora in esilio; altri ancora che sono eredi di una serie di movimenti di base… Tutto un sostrato che mal sopporta questa situazione attuale e che in molti casi ha fatto anche capire di esser pronto a rivendicare istanze e interessi di gruppo ma anche democratiche che in questo momento sono sicuramente negate o quantomeno fortemente limitate.








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