2017-04-06 15:15:00

Rdc: si aspetta la nomina del premier, si temono scontri


Nelle prossime ore il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, dovrebbe nominare il nuovo premier, incaricato di dirigere la transizione nel Paese. Ad oggi però la nomina sembra quanto mai lontana per la mancanza di un accordo tra governo e opposizione. Le elezioni presidenziali, previste entro la fine del 2017, rischiano di slittare, l’accordo tra governo e opposizioni, firmato il 31 dicembre scorso, con la mediazione dei vescovi del Paese, è di fatto disatteso, e il Paese è ormai preda di una gravissima violenza: nella regione del Kasai continuano i massacri e si scoprono fosse comuni. Di pochi giorni fa, durante la visita a Carpi, le parole di Papa Francesco che aveva lanciato un appello e invitato alla preghiera perché cessino i "sanguinosi scontro armati" in Congo. Francesca Sabatinelli ha intervistato Raffaello Zordan, giornalista di Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani:

R. - Siamo di fronte a un gigante che avrebbe bisogno di essere governato in maniera seria, ma non lo è mai stato. E’ una realtà enorme, otto volte l’Italia, 26 province, con un’economia da sistemare quasi dappertutto, con possibilità di sviluppo notevoli ma, naturalmente, se il presidente attuale, Kabila, pur avendo finito i due mandati previsti dalla costituzione, non accetta di spostarsi, è chiaro che questo rende la situazione ancora più complicata. Il punto focale qual è? Che adesso questa nomina del capo del governo è una nomina che rischia di essere unilaterale, mentre l’accordo prevedeva che il presidente del Consiglio fosse condiviso, una figura che non rispondesse direttamente a Kabila. Ad oggi siamo a uno stallo che può essere pericoloso.

D. – E pur vero che di fronte a Kabila, a opporsi c’è una coalizione che comincia a dividersi al suo interno…

R. – In realtà è sempre stata un po’ divisa. Anche durante i colloqui per arrivare all’accordo del 31 dicembre, c’era una parte dell’opposizione che sembrava disponibile a trattare con Kabila anche senza il punto focale dell’accordo, cioè: Kabila rimane in carica fino a che si svolgeranno le prossime elezioni previste entro quest’anno, ma non potrà presentarsi al voto perché la Costituzione, che non è cambiata, prevede due mandati e poi basta. Una parte dell’opposizione sembrava dire: poi vediamo… E’ chiaro che un’opposizione unita direbbe: arriviamo al voto, comunque non si presenta Kabila, nel frattempo noi troviamo una figura di riferimento, o più figure di riferimento, e cerchiamo di giocarcela alle presidenziali in maniera seria. La cosa non è così, o comunque non è semplicemente così. Quindi, c’è la possibilità seria che l’opposizione fatichi ancora - una parte dell’opposizione - a trovare un nome di riferimento. Non dimentichiamoci che un mese e mezzo fa è morto Étienne Tshisekedi, che era il capo riconosciuto di una fetta importante dell’opposizione. I nomi ci sono, ma sono quasi sempre persone che sono mischiate con gli affari, il che certo non è un “peccato originale”, però potrebbero essere dei candidati che poi, una volta eletti, rischiano di farsi gli affari loro.

D.  – Resta il fatto che sul terreno ci si sta ammazzando, e chi muore sono i civili. Non più tardi di qualche giorno fa, proprio la Conferenza episcopale congolese si è espressa allarmata per l’alto tasso di violenza e per l’uso eccessivo della forza da parte dei governativi, e poi si continua a scavare e a trovare fosse comuni…

R. – Bisogna valutare episodio per episodio. E’ chiaro che se le forze di polizia non vengono tenute entro certi limiti, possono anche spingersi oltre, in una situazione in cui la popolazione risponde, crea manifestazioni, attacca caserme, commissariati, come è avvenuto nel Kasai a marzo. E’ chiaro che è una situazione che non può reggere in nessun Paese, anche se questo è un grande Paese. Rimangono situazioni di conflitto nella periferia di Kinshasa, la capitale, situazioni di conflitto molto serie nel nord Kivu e lì c’è il problema dell’interferenza di milizie che prendono gli ordini molto spesso sia dal Rwanda che dall’Uganda. Quindi, sul terreno, c’è tutto questo, il punto qual è? Che il governo di Kabila, o il governo che Kabila riuscirà a mettere insieme, potrebbe dire tra qualche mese: non ci sono le condizioni per fare le elezioni perché le elezioni prevedono l’iscrizione alle liste elettorali, preparazione dei seggi, allestimento dei materiali, funzionari che si spostano in ogni area del Paese. Potrebbe, quindi, trovare il pretesto da questi scontri, da questa instabilità per dire: non si vota neanche nel 2017. Questo cosa vorrebbe dire? Che in questo caso Kabila potrebbe cercare di giocare un’altra partita e cioè non andare a votare, rinviare ancora oltre il 2018 e, nel frattempo, creare le condizioni per rimaneggiare la Costituzione per poter correre per un terzo mandato presidenziale. Questa è una cosa che molti presidenti in Africa hanno fatto negli ultimi anni, vuole provarci anche lui probabilmente. Non siamo sicuri, ma è un’ipotesi.








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