La speranza cristiana non è un'idea, è Cristo risorto, e prende forma nella dolcezza e nella benevolenza di chi arriva a perdonare: è quanto ha detto il Papa all'udienza generale in Piazza San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti:
Al centro della catechesi del Papa, la Prima Lettera di San Pietro in cui l’apostolo invita a rendere ragione della speranza che è in noi. Si tratta di una speranza che non delude, perché fondata sulla Risurrezione di Cristo:
“La nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze! La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto. I popoli slavi quando si salutano, invece di dire ‘buongiorno’, ‘buonasera’, nei giorni di Pasqua si salutano con questo ‘Cristo è risorto!’, ‘Christos voskrese!’ dicono tra loro; e sono felici di dirlo!”.
Rendere visibile la speranza con la testimonianza di vita
Di questa speranza – ha spiegato il Papa – “non si
deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza
della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di
essa”:
“Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi. Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello: modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato. Fare quello che faceva Gesù”.
I mafiosi non hanno speranza
La speranza – ha precisato Papa Francesco - prende
“la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto, della benevolenza
verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”, “nella consapevolezza
che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza”.
Invece, “una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare
la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”:
“I mafiosi pensano che il male si può vincere con il male, e così fanno la vendetta e fanno tante cose che noi tutti sappiamo. Ma non conoscono cosa sia umiltà, misericordia e mitezza. E perché? Perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo”.
Accettare di soffrire per il bene
San Pietro afferma che «è meglio soffrire operando
il bene che facendo il male» (v. 17): “non vuol dire - osserva il Papa - che è bene
soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore,
il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza”:
“Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua”.
Prendere la parte degli ultimi
Così, diventiamo “segni luminosi di speranza” ogni
volta che “prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo
al male col male, ma perdonando”, benedicendo e “facendo del bene anche a quelli che
non ci vogliono bene, o ci fanno del male”.
Giovanni Paolo II, grande testimone di Cristo
Durante i saluti, il Papa, nell’anniversario della
morte il 2 aprile scorso, ha ricordato San Giovanni Paolo II, “grande testimone di
Cristo”, “difensore dell’eredità della fede”, che ha rivolto al mondo i due grandi
messaggi di Gesù Misericordioso e di Fatima, riguardante il trionfo del Cuore Immacolato
di Maria sopra il male.
Invito a partecipare alla Via Crucis a Roma per le "donne crocefisse"
Infine, ha salutato i familiari dei militari caduti
nelle missioni internazionali di pace, accompagnati dall’Ordinario Militare, mons.
Santo Marcianò, e ha invitato a partecipare alla Via Crucis per le donne crocifisse
che avrà luogo venerdì 7 aprile a Roma, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII,
lanciando un appello a continuare “l’opera in favore di ragazze sottratte alla prostituzione”.
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