2017-04-02 09:02:00

Giornata autismo: non lasciare sole le famiglie


Una disabilità che non si vede e spesso viene ancora nascosta e vissuta dolorosamente tra le mura di casa. E’ l’autismo: questa domenica ricorre la Giornata mondiale della consapevolezza di tale patologia, di cui solo in Italia ne soffrono tra le 350 mila e le 500 mila persone. Un percorso doloroso, in cui spesso le famiglie si sentono sole e abbandonate a loro stesse. Marina Tomarro ne ha parlato con Marialba Corona, presidente della sezione di Bologna dell'Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici (Angsa):

R. – È importante non dimenticare tutte queste persone e le loro famiglie, perché da sempre le famiglie sono state lasciate sole; si sono rinchiuse per il fatto che questa è una disabilità che fisicamente non si vede. Ed essendo tale, la gente comune non capisce che cosa sia l’autismo, molte famiglie tendono a nasconderlo. È importantissima questa Giornata dell’Autismo perché noi, come abbiamo fatto in altri anni, abbiamo scelto non di fare convegni ma di scendere nella piazza più famosa di Bologna con tutte le nostre famiglie. Parleremo con la gente, faremo vedere i nostri ragazzi, i nostri bambini e risponderemo alle loro domande su che cos’è l’autismo.

D. – Quanto è importante anche non chiudersi ma anzi chiedere aiuto e quanto è importante un’associazione per aiutare chi soffre?

R. – È importantissima un’associazione per aiutare le famiglie. Le famiglie arrivano alla nostra associazione non per segnalazione della Asl, delle istituzioni, ma per un passaparola e per Internet. E quando arrivano il lavoro è molto lungo da fare. Quindi noi, come associazione, informiamo la famiglia su cosa fare e cosa non fare. Perché noi abbiamo figli che urlano, non dormono di notte, sono ingestibili, hanno comportamenti o il problema che si mordono o che possono essere dannosi per loro e per gli altri. E questi comportamenti e problemi arrivano quando uno meno se lo aspetta. Anche la famiglia quindi deve essere formata e aiutata per gestire i propri ragazzi.

D. – Anche lei vive questo problema in famiglia avendo un figlio autistico. Come affronta la quotidianità, giorno dopo giorno?

R. – La quotidianità giorno dopo giorno è difficile quando c’è una diagnosi di autismo; anche perché la vita cambia, gli amici spariscono e quindi la famiglia si deve riorganizzare. Purtroppo molti genitori non ce la fanno e si separano perché l’impegno è molto grosso e non tutti ce la fanno. Quelli che ce la fanno si rafforzano molto, si aiutano, vanno avanti sperando nelle nuove leggi e nelle nuove norme e sperando, un domani, di poter gestire il loro figlio grande in famiglia.

D. – Di cosa avete bisogno voi e i vostri ragazzi?

R. – Le leggi ci sono; abbiamo bisogno però che vengano applicate, perché finora di parole ne sono state dette tante, ma i ragazzi crescono e le famiglie hanno fretta, le famiglie hanno bisogno di essere aiutate a casa, con educatori specializzati; che ci sia la continuità anche nel pomeriggio oltre l’orario scolastico per lo stesso educatore, cosa che spesso non è permessa dalle cooperative. Le famiglie, per i casi più gravi, hanno bisogno di avere delle residenze specializzate. Attualmente ci sono solo l’associazione “Marino” a Reggio Calabria e altre in Piemonte; non ci sono in ogni regione d’Italia. Quindi la famiglia ha bisogno di sapere che in futuro il proprio figlio vada in un posto adatto a lui.

D. – Quanto è importante anche la sensibilizzazione su questo tema, nelle scuole, tra i coetanei dei vostri figli?

R. – È molto importante per le persone che ci circondano e anche a scuola. Ad esempio, sono molto importanti per la nostra disabilità le famose “aulette”. Le faccio l’esempio di mio figlio: mio figlio è arrivato in prima elementare che urlava, saltava e lanciava tutto quello che aveva. Non poteva in queste condizioni stare con gli altri bambini, anche perché gli altri bambini si sarebbero spaventati e non si sarebbero più avvicinati a lui. Quindi è stata creata la sua “auletta” dove lui andava quando era agitato; imparava tutte le cose, ad una ad una. L’auletta di sostegno deve servire non a relegare il disabile ma ad educarlo, portarlo in classe nei suoi momenti migliori, fare dei piccoli gruppetti con i compagni che piano piano vengono in auletta a fare attività con lui. E il maestro - che all’inizio era molto contrario, secondo lui in questo modo non c’era integrazione - alla fine della quinta elementare mi ha detto: “Sai? Avevi ragione. Anche i bambini che avevano paura si sono avvicinati ad Edoardo”. Ecco, per questo anche la formazione delle persone è molto importante.








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