2017-04-01 13:48:00

Trump firma due decreti a protezione del commercio Usa


Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato due decreti contro i presunti “abusi” commerciali e il dumping, ovvero l'esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno. Per la Casa Bianca, i due provvedimenti pongono le basi per rivitalizzare l'industria manifatturiera Usa. Il servizio di Elvira Ragosta:

Due ordini esecutivi per combattere quello che il presidente Trump definisce un deficit commerciale insostenibile e che costa agli Stati Uniti 500 miliardi di dollari. Il primo decreto prevede che il Dipartimento del Commercio prepari entro 90 giorni un rapporto dettagliato per indagare sulle cause del deficit statunitense con tutti i principali partner commerciali. Il secondo provvedimento punta a rafforzare l'autorità delle agenzie americane per contrastare il dumping praticato da società o Stati esteri. "Il mio messaggio è chiaro - ha detto il presidente Trump - da oggi in poi chi viola le regole deve sapere che ne subirà le conseguenze”. Sui possibili effetti di queste disposizioni risponde Mattia Diletti, esperto di politica americana e docente di Scienza Politica all’Università La Sapienza di Roma:

R. - Per adesso siamo veramente in una fase esplorativa ma l’indicazione è piuttosto chiara: tornare ad un sistema in cui gli Stati Uniti siano in grado di proteggere alcuni settori industriali e siano in grado anche politicamente di rispondere a una delle promesse che il presidente Trump ha fatto in campagna elettorale, cioè quella di aggredire la Cina sul piano commerciale, ma in realtà sta aggredendo anche l’Europa. E’ chiaro che la competizione è aperta soprattutto con la Cina. E’ una tendenza piuttosto marcata, ma dobbiamo vedere in realtà quanto ci sia, in questa minaccia, un modo aggressivo di cercare poi di fatto un accordo commerciale e politico. Vedremo solamente tra 90 giorni esattamente a che punto siamo arrivati.

D . – A proposito della Cina un deficit commerciale, quello degli Stati Uniti, che Trump quantifica in 500 miliardi di dollari di cui 340 circa con la Cina e punta il dito contro le politiche di libero scambio dei suoi predecessori. Oltre alla Cina quali sono gli altri partner?

R. – Rientrano in un discorso di ricostruzione della partnership anche beni e prodotti che arrivano dall’Europa. Una delle questioni in ballo, per esempio, è la questione dell’acciaio che riguarda tanto la Cina che il manifatturiero tedesco. Noi dobbiamo abituarci al fatto che ormai con gli Stati Uniti su molti accordi si dovranno rivedere diverse questioni sfruttandole separatamente. Siamo fuori per una gestione di quadro condiviso e coordinato. Vediamo cosa accadrà effettivamente nei prossimi 90, 100 giorni. Certo, gli europei si devono attrezzare, come gli altri Paesi, pensare all’America come un Paese diverso rispetto a quello che era prima. Poi, vedremo cosa succederà anche agli Stati Uniti perché negli Stati Uniti ci sono ovviamente delle forze che si oppongono a questa svolta. E chiaramente è anche una competizione interna a certi settori produttivi e manifatturieri del Paese. Quindi, adesso ci saranno delle reazioni anche lì, anche le camere di commercio americane interverranno, faranno valere i loro rapporti storici con il Partito repubblicano. Diciamo che sono veramente solo all’inizio.

D. - Si va dunque verso il nazionalismo economico degli Stati Uniti?

R.  - Gli Stati Uniti non possono permettersi un nazionalismo economico, non è nei loro numeri. Il livello dei loro scambi commerciali con il resto del mondo è tale, il livello di interdipendenza dell’Europa-Stati Uniti è tale, tra Stati Uniti e Cina è tale, che non si può tornare a un mondo che, francamente non sappiamo nemmeno bene immaginare, cioè a un nazionalismo economico. Ci dobbiamo abituare a pensare che l’America non si muove più con un grande disegno generale in cui il mondo va nella direzione dell’apertura degli scambi commerciali, che era una cosa che prima evidentemente conveniva anche molto a quel Paese; adesso dobbiamo immaginarci un meccanismo più a geometria variabile che può provocare però problemi e tensioni molto forti, se gestito malamente. Di certo non si cominciano a produrre cambiamenti con un atteggiamento così muscolare, diventa tutto più difficile.

D. - Quali sono gli effetti interni a cui mira il presidente Trump per la difesa delle industrie e dei lavoratori statunitensi?

R.  – Il consenso, su due binari. Un binario è quello di rispondere al suo elettorato e soprattutto quello a cui lui si è rivolto per vincere le elezioni, che è quello che ha paura delle chiusure delle industrie nazionali e che ha visto chiudere in alcune contee del Paese pezzi del manifatturiero americano. C’è un discorso nazionalista che innerva la retorica trumpiana fin dal principio che rimane legata anche a questo tipo di azioni. E poi c’è evidentemente anche un sostegno ad una parte dell’industria americana che lo ha appoggiato, anche economicamente, in campagna elettorale, quindi la chiave è quella del mantenimento di un consenso. Trump non ha una retorica di riserva da adottare con l’andare del tempo. Quindi per adesso siamo all’inizio della presidenza, siamo su questa linea: lui la manterrà con molta forza.








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