2017-03-31 11:31:00

Padre Cantalamessa: morte di Cristo è garanzia del suo amore


Il mistero della Risurrezione è stato al centro della quarta predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana. Stamani, nella Cappella Redemptoris Mater, il francescano predicatore della Casa Pontificia ha esortato a non “speculare su come sarà la nostra vita eterna” ma a fare le cose che ci portano ad essa. Ce ne parla Benedetta Capelli:

“Lo Spirito Santo ci introduce nel mistero della Risurrezione di Cristo”: è il tema che guida la predica di padre Raniero Cantalamessa focalizzata su tre aspetti di questo mistero. Partendo dalla Risurrezione come fatto storico, il predicatore della Casa Pontificia mette in luce lo smarrimento dei discepoli dinanzi alla tragica fine di Gesù, “un punto morto della fede” dove “il caso di Gesù è considerato chiuso”. A distanza di poco tempo però - evidenzia - gli stessi discepoli si lasciano imprigionare, flagellare, uccidere per Lui perché dicono di averlo visto.

“La Risurrezione è un evento storico in un senso particolarissimo. È al limite della storia, cioè come il filo che divide il mare dalla terraferma, la Risurrezione è dentro e fuori la storia. Questo fa sì che la Risurrezione non sia testimoniabile direttamente con termini umani, che sono sempre legati al tempo e allo spazio. Per questo nessuno vede Gesù risorgere: tutti lo vedono risorto”.

Parlare di Risurrezione, in senso storico, implica due fatti, ricorda padre Cantalamessa: “l’improvvisa e inspiegabile fede dei discepoli, una fede così tenace da resistere perfino alla prova del martirio” e “la spiegazione che di tale fede gli interessati ci hanno lasciato”. E’ dunque la fede che permette di vedere e “la prova più sicura della Risurrezione si ha dopo, non prima, che si è creduto, perché allora si sperimenta che Gesù è vivo”. La Risurrezione è il potente “sì” di Dio sulla vita di Gesù.

“Molti uomini, e ne abbiamo una riprova tragica ai nostri giorni, muoiono, danno la vita per cause sbagliate, credendo che siano giuste. La loro morte non rende la causa per cui muoiono vera. Testimoniano solo che credevano in essa. La morte di Gesù non è la garanzia della sua verità, non è la prova suprema della sua verità, ma è la prova suprema del suo amore; questo sì, perché nessuno ha un amore più grande che dare la vita per i propri amici”.

“La Risurrezione di Cristo - prosegue il francescano - ci riguarda ed è un mistero per noi perché fonda la speranza della nostra stessa Risurrezione dalla morte”. C’è da un lato “la certezza dell’onnipotenza di Dio” e dall’altro “quella della insufficienza e dell’ingiustizia della retribuzione terrena”. E’ Gesù a pronunciarsi sul modo e sul fatto della Risurrezione: sul fatto che ci sarà la Risurrezione dei morti basta richiamare l’episodio del roveto ardente quando Dio a Mosè si proclama il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il Dio dei vivi! Se si crede alla Risurrezione di Cristo - aggiunge il predicatore - allora si crede a quella dei morti.

“La fede cristiana nella Risurrezione dei morti risponde del resto al desiderio più istintivo del cuore umano. Già Paolo dice: ‘Noi non vogliamo essere spogliati del nostro corpo, ma sopra vestiti, cioè non vogliamo sopravvivere con una parte sola del nostro essere, l’anima, ma con tutto il nostro io, anima e corpo. Perciò non desideriamo che il nostro corpo mortale venga distrutto, ma che venga assorbito dalla vita e si vesta esso stesso di immortalità”.

“È lo Spirito che abita in noi - evidenzia padre Cantalamessa - più che l’immortalità dell’anima, che assicura la continuità tra la nostra vita presente e quella futura”. Sul modo spesso si è fatto ricorso ad esempi tratti dalla natura: “il seme da cui sboccia l’albero, la natura morta in inverno che risorge a primavera, il bruco che si trasforma in farfalla”.

“La verità è che ciò che riguarda la nostra condizione nell’aldilà resta un mistero impenetrabile. Ma non perché Dio ce l’abbia voluto tenere nascosto; ma perché ci mancano le categorie fondamentali per potercela rappresentare, che sono per noi sempre legate allo spazio e al tempo. Quindi non possiamo rappresentarci qualcosa che è fuori dello spazio e del tempo. Perché l’eternità non è un’entità a sé; non è un tempo prolungato indefinitamente: l’eternità è il modo di essere di Dio, l’eternità è Dio. Quindi, entrare nella vita eterna significa semplicemente essere ammessi per grazia a condividere il modo di essere di Dio”.

“La cosa più importante - conclude il predicatore - non è speculare su come sarà la nostra vita eterna, ma fare le cose che sappiamo portare ad essa. Che la nostra giornata di oggi sia un piccolo passo verso di essa”.








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