2017-03-30 12:26:00

Brexit. May: transizione morbida. Preoccupati i vescovi inglesi


Il giorno dopo l’avvio dei negoziati per la Brexit, il premier britannico Theresa May parla di transizione morbida e stabile. I vescovi inglesi sono preoccupati per l’uscita dall’Unione Europea. Il servizio di Giancarlo La Vella:

La Brexit è una via di non ritorno per Downing Street e, nonostante vi sia la promessa di una nuova partnership con l’Europa, Londra e Bruxelles non si lasciano bene. Per il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, i britannici rimpiangeranno la scelta di lasciare l’Unione. Sullo sfondo l’afflato secessionista della Scozia e forse anche quello dell’Irlanda del Nord. Due anni e forse più di negoziati sicuramente sistemeranno i rapporti reciproci, ma la Chiesa guarda con preoccupazione al futuro dell’Europa. “Divisi non si va da nessuna parte”, afferma il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei e dei vescovi europei, per il quale “oggi c’è bisogno di più Europa, non di meno Europa”. Gli fa eco il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e vice-presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE). “Abbiamo ancora un posto in Europa e vogliamo essere buoni vicini dei Paesi che ne fanno parte”, ha detto, parlando del futuro britannico. “La Chiesa cattolica, con tutte le sue realtà locali, da sempre dialoganti tra loro e con le altre religioni, può dare testimonianza che nessuna Nazione può vivere isolata”. I diritti dei tre milioni di europei che vivono nel Regno Unito è uno dei temi che sta a cuore a Liam Allmark, portavoce della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles. “E’ importante – ha detto – rassicurarli sul loro futuro, garantendo che i loro diritti, come cittadini britannici, verranno salvaguardati”. Anche il mondo accademico esprime perplessità sulla Brexit. Sentiamo il parere di Francesco Gui, docente di Storia Moderna all’Università La Sapienza di Roma:

R. – Sicuramente è un evento che non possiamo che giudicare molto negativo, anche per i suoi effetti psicologici. È comunque un andare indietro rispetto a un processo che sembrava consolidato, malgrado tutte le critiche che si potessero fare all'organizzazione europea. Ora il processo non è più revocabile. Direi che si sono presi una responsabilità veramente notevole.

D. - Alcuni commentano che poi di fatto la Gran Bretagna realmente è sempre stata soltanto alla finestra dell’Europa, per esempio non accettando di entrare nella moneta unica …

R. - Per certi aspetti bisogna anche un po’ capire i britannici. Prima di tutto, l’assetto istituzionale dell’Unione Europea non è ancora di per sé adeguato per un’adeguata rappresentatività della situazione, per cui spesso bisogna accettare conclusioni che magari non rispondono esattamente alla volontà generale del Paese. Seconda cosa, il Regno Unito ha una tradizione politica consolidata e metterla in crisi con certi obblighi capisco che poteva essere un problema. Diciamo che la Gran Bretagna stava dentro e portava all’Europa il bene dei suoi assetti istituzionali, ma nello stesso tempo si teneva un po’ in disparte, una sorta de “la réserve de la  république”. Penso che avessero anche le loro buone ragioni. Ma è l’uscir fuori in modo totale che mi sembra veramente qualcosa di negativo. E poi la cultura del federalismo ce l’hanno insegnata loro; così come la cultura dell’integrazione. Lo stesso Winston Churchill è considerato tra i padri dell’Europa. Finita la Seconda Guerra Mondiale, addirittura parlò di Stati Uniti d’Europa. Insomma, anche loro devono ammettere di essere parecchio contradditori, ma se ne sono resi conto, perché sono molto divisi: fra quelli più preparati a questa sfida e quelli che reagiscono invece emotivamente.








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