2017-03-21 13:18:00

Aung San Suu Kyi: la Birmania cammina verso pace e unità


Il discusso presidente filippino, Rodrigo Duterte, ha donato alla leader Birmana, Aung San Suu Kyi circa 300 mila dollari in aiuti umanitari per la minoranza musulmana dei Rohinya vittima di una spirale di violenza che ha causato decine di morti e migliaia di sfollati. Intanto in Myanmar, nonostante le difficoltà, continua il processo di democratizzazione, come conferma la senatrice Albertina Soliani, dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania “Giuseppe Malpeli”, appena rientrata in Italia. Massimiliano Menichetti l’ha intervistata.

R. – Il Myanmar – cioè la Birmania – è entrata nel cammino nuovo della democrazia esattamente così com’è. È arrivata fin qui dopo 60 anni di feroce dittatura: questo bisogna saperlo. Quindi non improvvisamente, dalla sera alla mattina, è cambiato tutto, ma ora è cambiata la direzione della storia.

D. – Lei ha incontrato a casa sua la leader, Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi…

R. –È stato un lungo colloquio, a Naypyidaw, la capitale. Io pensavo di trovarla anche molto provata dalle difficoltà della situazione e dall’uccisione recente del suo principale collaboratore consigliere, U Ko Ni. In realtà ho trovato una Aung San Suu Kyi molto determinata. Lei ha detto chiaramente che l’obiettivo principale della sua azione politica è l’unità del Paese: è la riconciliazione; è la costruzione della politica nuova che deve fare insieme al popolo, sapendo che parte da grandi conflitti: interetnici, con l’esercito, in diversi luoghi sui confini e non soltanto nella zona dello Stato Rakhine, dove c’è la minoranza musulmana detta “Rohingya”.

D. – Senatrice ha detto che Aung San Suu Kyi ha una presa anche sui militari, ma l’uccisione del suo stretto collaboratore ci dice una cosa diversa…

R. – L’uccisione di U Ko Ni, l’avvocato suo consigliere, per tutto il diritto costituzionale è stato un delitto politico; l’ispiratore, per quel che si comincia a capire, probabilmente è un ex militare. Ma non è tanto il singolo: ci sono militari che hanno accettato il nuovo corso della democrazia, e coloro invece che ancora vogliono limitare il potere della democrazia, e cioè di Aung San Suu Kyi, che è l’unico punto di equilibrio e di riferimento. Se venisse indebolita questa posizione, si tornerebbe molto indietro in Birmania.

D. – Nell’agosto scorso si è tenuta la conferenza che ha messo intorno a un tavolo tutte le etnie del Paese, la Conferenza di Panglong: come continua questo appuntamento?

R. – Riprende a marzo: è a tappe. Continuano a fare questo lavoro, che consiste in un processo di riconciliazione. Ha quest’obiettivo: l’unità del Paese. Lei (Aung San Suu Kyi N.D.R.) tiene dentro tutti, anche coloro che sono nelle posizioni più estreme, più opposte; anche i militari.

D. - Aung San Suu Kyi le ha mostrato preoccupazione perché il mondo sembra non comprendere il processo di crescita, seppur con contraddizioni, che il Paese sta vivendo…

R. – E’ come se dicesse: “Perché fuori non capiscono? La stampa internazionale, il mondo occidentale: perché fuori non si rendono conto che stiamo vivendo una fase che ha dei problemi enormi, una fase di riconciliazione… Perché fuori non capiscono che la Birmania adesso ha bisogno di fiducia da parte del mondo esterno?”

R. – Lei ha incontrato anche il cardinale Charles Bo.Lo ricordiamo: i cristiani sono l’uno percento nel Paese. Che cosa le ha detto?

R. – Stanno organizzando per il 28 aprile il “Concilio delle religioni”, così lo chiama, per la riconciliazione: quindi un’iniziativa di unità, di confronto e di discussione insieme, di tutte le religioni presenti nel Paese. Quindi questa è una grande azione di sostegno alla democrazia della Birmania. E ci saranno anche i militari: questa è una cosa straordinaria! 








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