2017-03-18 16:00:00

Viaggio a ritroso nel Pontificato di Francesco a 4 anni dal suo inizio


Custodire le persone, specialmente i più deboli, e il creato, con tenerezza perché il “vero potere è il servizio”. E’ questo il nucleo centrale dell’omelia della Messa di inizio del Pontificato di Papa Francesco, avvenuto 4 anni fa, il 19 marzo del 2013. Il “programma” del suo Pontificato viene “cucito” sulla figura di San Giuseppe, la cui ricorrenza cade proprio il 19 marzo: una coincidenza ricca di significato, disse Francesco quel giorno. Un programma che apre processi più che raggiungere traguardi. Con il servizio di Debora Donnini, ripercorriamo come in questi quattro anni hanno preso corpo i temi forti di quel discorso:

Francesco fa fermare la jeep, scende, bacia e accarezza un tetraplegico. Questo gesto compiuto poco prima della Messa di inizio del ministero petrino sarà poi da lui ripetuto infinite volte. Racchiude il “programma” di quello che Papa Francesco ha voluto portare non solo con le parole ma soprattutto con i gesti: aver cura di chi è alle periferie delle società.

Il vero potere è il servizio: custodire l’intera umanità
Un gesto che ripeterà, ad esempio, nella lavanda dei piedi ai carcerati, o quando nei venerdì della Misericordia andrà a trovare le donne che sono state schiave della prostituzione. Francesco toccherà la carne di Cristo nei migranti: la sua prima visita pastorale sarà proprio a Lampedusa, poi ripetuta a Lesbo. In fondo nell’omelia del 19 marzo 2013 l’aveva detto che questo sarebbe stato il pilastro del suo Pontificato:

“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!”.

Non avere paura della tenerezza
San Giuseppe è la figura che incarna questa custodia: lui che custodisce la sua famiglia, nel silenzio, con umiltà, nei momenti sereni e in quelli difficili, ma soprattutto con tenerezza. La tenerezza infatti non è la virtù del debole: “non dobbiamo avere paura della tenerezza”, aveva detto Francesco alla Messa. La forza delle tenerezza si esprime nei suoi abbracci e nei suoi incontri preferenziali con i malati, i bambini, gli anziani, coloro che sono lontani della Chiesa.

La Chiesa in uscita verso le periferie del cuore e delle società
Si è visto infatti in questi quattro anni che Francesco ha voluto una Chiesa in uscita come disse nella sua prima intervista, quella a Civiltà Cattolica. Magari una Chiesa accidentata ma che va in cerca dei lontani con pastori con l’odore delle pecore, non funzionari. Un’attenzione testimoniata anche dalla sua Esortazione Apostolica post-sinodale, Amoris laetitia, che, senza cedere sul Magistero, lo esprime nel suo senso più profondo: la carità di chi non giudica ma ama e offre strade di misericordia e di ritorno al Signore, come indica anche il Giubileo da lui indetto.

Custodire il creato
Il suo invito a custodire si allarga nell’omelia anche al creato interpellando non solo i cristiani ma anche tutti gli uomini di buona volontà. Parole spesso ricordate, poi, nei suoi discorsi e in modo magistrale nell’Enciclica Laudato sì:

“E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.

Custodire per portare la speranza di Gesù
Anche con le Messe a Casa Santa Marta, ha voluto e vuole incontrare la gente e ricordare quale è la missione del cristiano. Custodire punta infatti ad “aprire l’orizzonte della speranza”, parola a cui non a caso sta dedicando il ciclo di catechesi all’udienza generale:

“Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!”.

“Per favore non lasciatevi rubare la speranza”, aveva detto ai giovani alla Messa solenne della Domenica delle Palme, che poi era la prima domenica dopo l’inizio del Pontificato. Non a caso dopo i Sinodi sulla famiglia, saranno proprio i giovani al centro del prossimo Sinodo da lui voluto. E Francesco parla di una speranza non mondana ma di quella che ci dà Gesù.








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