2017-03-11 07:51:00

Vertice a Bruxelles: l'Europa a più velocità divide i leader Ue


Il tema dell’Europa a più velocità spacca i leader dell’Unione Europea. Al Consiglio europeo, conclusosi ieri, i Paesi del gruppo Visegrad temono di essere lasciati indietro, ma il presidente della Commissione Juncker assicura: "Non si tratta di una nuova cortina di ferro". Il servizio di Elvira Ragosta:

"I Paesi del V4 (gruppo di Visegrad) non saranno mai d'accordo a parlare di un'Europa a più velocità". Così la premier polacca, Beata Szydlo, alla conferenza stampa di fine vertice, ieri a Bruxelles. Il gruppo dei Paesi dell’Est composto da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia pone come condizione l’unità e “non approverà cambiamenti che possano portare peggioramenti a Mercato unico o a Schengen". Il presidente della Commissione Europea, prova a rassicurare i V4 che temono di essere lasciati indietro dai Paesi più forti: “Non si tratta - dice Jean Claude Junker - di una nuova cortina di ferro”. Nessuna logica di esclusione promette anche il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Sulla necessità che l’Europa debba essere continuamente modellata ha parlato anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ribadendo che le diverse velocità non comporteranno differenti classi di Paesi. Intanto, la Polonia sembra isolata all’interno dell’Ue anche sulle questioni ambientali: se non ci saranno a breve novità sul programma di disboscamento che il governo polacco ha iniziato in un’area protetta patrimonio dell’Unesco, la Commissione sarebbe pronta ad attivare la seconda fase della procedura di infrazione. 

Per un commento sulle diverse posizioni degli Stati membri dell'Unione su un Europa a più velocità, Elvira Ragosta ha intervistato Riccardo Alcàro, responsabile ricerca dell'Istituto affari internazionali:

R. – Io credo che sia più una questione di percezione, al momento, di timore, che di preoccupazioni concrete su punti specifici che ancora non sono venuti fuori, in realtà. I Paesi dell’Europa orientale rispetto ai Paesi dell’Europa centroccidentale hanno una storia diversa, che fino a 25 anni fa era una storia di sottomissione a una potenza esterna – l’Unione Sovietica; e quindi non hanno interiorizzato, come i Paesi dell’Europa centroccidentale, l’idea che la sovranità possa essere condivisa e che questa condivisione di sovranità non comporti una limitazione della sovranità nazionale tale da poter essere rappresentata come una oppressione dall’esterno. In più, in questo momento in Ungheria e in modo particolare in Polonia sono al governo forze politiche fortemente euroscettiche, nonostante siano decisamente a favore dell’adesione del loro Stato all’Unione; però, hanno questa vocazione sovranista-nazionalista-protezionista e quindi temono sempre che i grandi dell’Occidente – Germania, Francia, Italia, Spagna – mettendosi insieme possano imporre loro le loro decisioni.

D. – Come interpretare, allora, questa spaccatura tra Paesi occidentali favorevoli all’Europa a più velocità e Paesi contrari?

R. – Non esistono interessi strutturali tali da rendere la divisione tra Europa dell’Est ed Europa dell’Ovest una divisione permanente: assolutamente no. Al contrario: esistono più interessi potenzialmente condivisibili che possono portare i Paesi dell’Europa centrorientale e quelli della vecchia Europa a 15 a cooperare, a trovare sinergie e si vedrà che si creeranno, a seconda delle questioni, diverse faglie di divisione dove Paesi dell’Occidente e Paesi dell’Oriente staranno insieme contro altri Paesi dell’Occidente e altri Paesi dell’Oriente.

D. – Come influisce questo strappo nella redazione del documento finale che si attende per le celebrazioni perla firma trattati di Roma del prossimo 25 marzo?

R. – Come dicevo prima, è un punto molto forte di percezione, e in particolar modo nei Paesi dell’Europa centrorientale, anche perché hanno in questo momento – due di loro, almeno – al potere forze fortemente euroscettiche, vogliono dare una risposta chiara al loro pubblico. Io non credo che questo sarà l’oggetto di dibattito, di scontro in occasione della dichiarazione del Vertice; troveranno un compromesso in cui si metterà fortemente l’accento sul fatto che l’Unione Europea è un progetto inclusivo e allo stesso tempo si metterà l’accento sul fatto che questa inclusività del progetto europeo non pregiudica la possibilità, per alcuni Stati, nel rispetto dell’inclusività generale, di cooperare di più, qualora loro lo vogliano.

D. – Parlando in maniera più generale, quali sono le complessità che si trova ad affrontare l’Europa?

R. – L’Europa si trova al centro di una poli-crisi, cioè un insieme di crisi che messe insieme ne hanno compromesso la capacità di assicurare un governo efficace delle questioni fondamentali: dalla questione-euro, che ha visto i Paesi dell’Europa del Nord prendere una posizione completamente diversa da quella dei Paesi dell’Europa del Sud, che vorrebbero una politica meno votata all’austerità e più ispirata alla crescita; alla questione-migrazione, dove invece abbiamo i Paesi dell’Europa occidentale, come la Germania e l’Italia, che vorrebbero europeizzare la gestione del problema, e Paesi dell’Europa centrorientale – ma anche l’Austria – che sono invece più restii a farlo; alla gestione dei rapporti con la Russia, piombati al punto più basso dai tempi della Guerra Fredda, che in questo momento sono improntati a una comprensione, a una specie di pace fredda, nonostante però la politica verso la Russia sia oggetto di dibattito piuttosto aspro all’interno dell’Unione Europea.








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