2017-03-10 13:27:00

Siria: inviati dagli Stati Uniti 400 marines per liberare Raqqa


E’ stato ufficializzato dagli Usa l'invio di 400 soldati in Siria per sostenere l'offensiva contro la roccaforte del califfato a Raqqa. Saranno però "rinforzi temporanei", in quanto il contingente autorizzato a lungo termine, resta di 500 uomini. Fonti del Pentagono affermano che i nuovi arrivati appartengono al corpo dei Marines e agli Army Rangers e sono equipaggiati con pezzi di artiglieria pronti ad aprire il fuoco su migliaia di jihadisti del 'Califfato' che resistono nella città siriana. Intanto continuano da parte dell’artiglieria turca, gli attacchi verso le postazioni dell'Esercito siriano e delle forze alleate nella regione di Manbij, causando diversi morti e feriti tra le guardie di frontiera. Ma su questo nuovo invio di soldati ascoltiamo il commento di Pietro Batacchi, direttore di Rivista Italiana Difesa, raccolto da Marina Tomarro:

R. – Credo che dobbiamo fare una premessa: nella fattispecie l’invio del contingente dei marines era già programmato, un contingente analogo opera da ormai un anno anche in Iraq per appoggiare l’offensiva delle forze irachene contro Mosul; per questa ragione si è deciso di replicare questo schema per supportare le forze curde nell’offensiva contro Raqqa. Per cui si tratta di qualcosa che comunque era già previsto ed era nella pianificazione. È possibile che gli Stati Uniti nei prossimi mesi vogliano allargare e spendere la loro presenza militare in Siria per combattere quello che l’amministrazione Trump ha identificato come uno dei nemici fondamentali del proprio mandato, ovvero lo Stato islamico, che tra l’altro in Iraq e in Siria è ormai del tutto agonizzante.

D. - Questo potrebbe voler dire per gli Stati Uniti un loro nuovo ruolo per quanto riguarda lo scenario mediorientale?

R. - Non credo o se sarà così, lo sarà fino ad un certo punto. Credo che il pivot degli Stati Uniti verso il teatro Asia-Pacifico sia qualcosa di irreversibile. A ciò aggiungiamo il fatto che gli Stati Uniti da un punto di vista energetico sono ormai autosufficienti, per cui nella loro strategia l’importanza del Medio Oriente viene irrimediabilmente a diminuire, a calare. Per cui credo che gli Stati Uniti faranno e manterranno una presenza nel Medio Oriente, ma non ci sarà impegno come c’è stato in passato negli ultimi 15 anni.

D. - Tra pochi giorni ci saranno i colloqui ad Astana. Quale sarà il ruolo degli Stati Uniti? Che cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo incontro?

R. - Gli Stati Uniti chiaramente, per ciò che concerne i colloqui di Astana, hanno una posizione, un ruolo secondario perché il ruolo principale è assunto da Turchia, soprattutto Russia e in misura minore Iran, che sono i tre protagonisti recenti della crisi siriana e del conflitto siriano e sono i tre attori il cui contributo sarebbe fondamentale per giungere quanto meno ad un cessate il fuoco nella guerra civile siriana. Gli Stati Uniti del resto con l’amministrazione Obama hanno scommesso, hanno puntato sul cambiamento di regime in Siria e sul crollo di Assad. Questo crollo non c’è stato anche grazie al supporto e all’intervento di Russia ed Iran nella guerra, per cui gli Stati Uniti non hanno un attore locale su cui fare affidamento se non i curdi siriani.

D. - Secondo lei cosa verrà fuori da questi nuovi incontri?

R. - Mi aspetto quanto meno dei cessate il fuoco sul piano locale che grazie al ruolo di Turchia, Iran e Russia possano in qualche misura materializzarsi. Però da questo punto di vista è fondamentale che tenga il reapproachment che c’è stato negli ultimi mesi tra il presidente Putin e il presidente Erdogan.








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