2017-03-08 09:29:00

La Chiesa ricorda S. Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli


Da cinquecento anni il suo nome è sinonimo di amore ai malati. San Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, ricordato oggi dalla Chiesa, fu letteralmente folgorato da alcune esperienze che lo portarono a essere solidale con persone povere e inferme fisicamente e mentalmente al punto da voler creare il prototipo dell’ospedale modernamente inteso. Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 viene proclamato Patrono degli ammalati, degli ospedali, degli infermieri e delle loro associazioni. Alessandro De Carolis parla della sua figura con Fra Marco Fabello, direttore generale dell'Istituto Fatebenefratelli di Brescia:

R. - Di Giovanni di Dio potremmo ricordare l’accoglienza. È quindi un diretto riferimento anche all’attualità: accogliere oggi chi nessuno vuole, accogliere tutti mali, anche quelli disperati, quelli che hanno difficoltà di farsi ricoverare perché non hanno risorse economiche oggi, accogliere i famigliari, le persone che soffrono con chi soffre. Questa è la realtà del nostro mondo, che in questo momento fa difficoltà ad essere solidale con chi soffre nello stesso ambito famigliare. Accogliere i morenti sulla strada, come nei nostri tempi ha fatto Santa Teresa di Calcutta, accogliere il pellegrino, colui che è senza una dimora sicura, senza una meta sicura. Giovanni di Dio ha fatto tutte queste cose e noi oggi ci troviamo a ripetere le stesse azioni, ma non tanto in terra di missione o nei Paesi che hanno più povertà, ma nei Paesi ricchi che ritengono di potere in qualche modo essere i conduttori del mondo. Quindi un Giovanni di Dio che aldilà del tempo, oggi è una figura così attuale che può essere di stimolo per tutti noi religiosi e operatori dell’ordine che oggi sono chiamati ad un cambio, probabilmente radicale, di visione dell’attualità.

D. - Avvicinandosi al mondo della malattia San Giovanni di Dio capisce che la premessa per una proficua cura del corpo è la cura dello spirito …

R. - Certamente. Anche da questo punto di vista ci stiamo orientando in modo abbastanza deciso, nel senso che stiamo creando in tutte le nostre strutture delle unità di accompagnamento spirituale. Quindi non solo pastorale che è una cosa presente da sempre, ma di accompagnamento spirituale soprattutto verso quelle persone che non credono, che sono di altre religioni, perché c’è qualcosa in ciascuno di noi che vive dentro e che abbiamo il compiuto di richiamare, di ripresentare alla memoria perché da quel punto di vista tutti possono essere aiutati.

D. - Giovanni visse l’esperienza dell’internamento perché ritenuto un folle. E da lì, provvidenzialmente possiamo dire, capì anche la condizione dei malati. La domanda è questa: qual è oggi la follia dei Fatebenefratelli?

R. - La follia dei Fatebenefratelli è che più calano di numero, più aumentano le opere! Questo in termini molto pratici, ma la follia vera è quella di avere colto il bisogno fondamentale. Voglio solo ricordare ad esempio che abbiamo aperto a San Maurizio Canavese una Rems (Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza), che è il superamento totale dei manicomi giudiziari. Doveva essere solo pubblica, ma la Regione Piemonte l’ha data a noi. Questa è un’azione molto importante perché richiede un’esperienza, una capacità di gestione di queste persone molto difficili. Mi rivedo Giovanni di Dio che va nelle galere o nei manicomi del suo tempo a ridare vita ai malati psichiatrici che lui aveva conosciuto durante la sua malattia psichica. Quindi mi pare proprio che stiamo camminando sulle sue tracce, facendo i suoi percorsi, vivendo le sue storie. Credo che questo dovrebbe essere per noi anche il segno che siamo sulla strada giusta.








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