2017-03-07 13:04:00

Iraq: speranze e drammi dei cristiani della Piana di Ninive


Prosegue l’avanzata dell’esercito dell’Iraq nella parte ovest di Mosul, ancora nelle mani del sedicente Stato Islamico. Sono circa 300 mila gli iracheni sfollati dalla città del nord del Paese. Sarebbero invece almeno 72 mila quelli rientrati nelle proprie abitazioni nelle zone riconquistate dalle forze di sicurezza irachene. Il conflitto ha colpito in modo particolare la comunità cristiana. Circa 1 milione i profughi fuggiti dalla regione di Ninive, 500 mila coloro che hanno scelto di rimanere. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il collega Stefano Marchi, da poco rientrato da quelle zone:

R. - Per quanto riguarda la comunità cristiana, due terzi della popolazione, 1 milione circa che viveva in Iraq, è dovuta fuggire. Questi cristiani, che hanno dovuto lasciare le loro case, sono sfollati all’interno dello stesso Iraq e soltanto circa mezzo milione continua a vivere in condizioni peraltro difficili nei villaggi e quartieri tradizionalmente loro.

D. – A proposito di questo, ti è capitato di avere un’esperienza diretta con qualche centro abitato che hai visitato?

R. -  Sì, ho visitato due villaggi caldei nella provincia di Mosul, a pochi chilometri dalla città tuttora in parte occupata dallo Stato islamico. Uno è Batnaya, totalmente abbandonato, ampiamente distrutto, per effetto anche dei combattimenti che ci sono stati tra i peshmerga curdi, che lo hanno liberato dallo Stato Islamico, e gli stessi miliziani. Un altro villaggio che ho visitato è quello di Tellesqof. Questo invece è un villaggio tuttora abitato, anche se molti dei suoi abitanti lo hanno abbandonato per ragioni soprattutto economiche, pratiche. Non è mai stato coinvolto nei combattimenti, ma patisce gravi problemi pratici, perché era ed è tuttora vicino al fronte, quindi è privo di acqua corrente, di energia elettrica… Sappiamo che questi villaggi sono attualmente tenuti dai peshmerga curdi, ma sono nella provincia di Ninive, che è una provincia dell’Iraq, che non è una delle tre che costituisce il Kurdistan iracheno autonomo. Gli stessi cristiani locali fanno capire che non hanno ancora deciso se in futuro accetteranno di restare sotto la regione autonoma curda dell’Iraq o se tornare nello Stato iracheno.

D. – Sei riuscito a parlare con qualcuno?

R. – Loro hanno patito questi drammi, sono dovuti fuggire davanti all’avanzata dello Stato Islamico, che ha devastato, saccheggiato, profanato chiese. Abbiamo visto una statua della Madonna decapitata, un quadro con l’effige di Gesù deturpato… Ma questa popolazione con dignità continua a vivere: non smette mai, in nessuna condizione, di vivere e di lavorare, ma naturalmente i problemi materiali sono enormi, oltre quelli economici. Il patriarca Sako ha rivolto un appello alla diaspora caldea, affinché contribuisca finanziariamente a sostenere le spese per la ricostruzione materiale o per finanziare lo stabilimento di servizi essenziali e favorire, quindi, la permanenza di queste comunità nelle loro terre o un ritorno addirittura di chi le ha lasciate.

D. – Anche la popolazione musulmana sta vivendo il dramma di questo conflitto...

R. - Sì, certamente. Lo sta vivendo e rischia di viverlo forse ancor di più. E questo è quello che mi hanno detto, sia il patriarca Sako, quanto il Gran Mufti dell’Iraq, la massima autorità dei musulmani sunniti. Entrambi temono che, dopo la completa sconfitta dello Stato Islamico, si scatenino ancora più feroci vendette reciproche, soprattutto tra sunniti e sciiti. Temono tutti questa guerra civile tra sciiti e sunniti. Il governo ha detto che ha piani ben precisi per garantire non solo l’unità del Paese, ma anche la pacifica convivenza tra tutte le comunità religiose e le etnie come è successo per secoli in quel Paese.








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