2017-03-06 14:57:00

Fuga dei cristiani dal Sinai. Padre Samir: si fa poco per proteggerli


In Egitto, continua l'esodo delle famiglie cristiane dalla Penisola del Sinai dopo l'uccisione di sette copti nelle ultime tre settimane da parte dei jihadisti del sedicente Stato islamico. Sulla situazione ascoltiamo il padre gesuita egiziano Samir Khalil Samir, docente di islamistica presso Pontificio Istituto Orientale di Roma, al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Sono aumentati negli ultimi mesi gli attacchi di gruppi di fanatici contro i cristiani, con qualunque pretesto. Questi jihadisti vogliono liberare tutta la Penisola del Sinai per farne una nuova terra di conquista: visto che stanno perdendo terreno in Siria e in Iraq, allora cercano un rifugio nel Sinai per continuare la lotta. E siccome lì c’è una piccola concentrazione di egiziani cristiani, era una "bella occasione" per fare due colpi in uno: recuperare tutto il Sinai e combattere i cristiani. Nel pensiero di alcuni dei fanatici, in teoria il cristiano ha pieno diritto di vivere insieme ai musulmani, ma non avendo gli stessi diritti, accettando, cioè, di essere sottomesso al sistema islamico e pagando un tributo. Ma i jihadisti vanno anche oltre queste norme e considerano i cristiani come nemici.

D. – Il governo egiziano fa abbastanza per tutelare i cristiani copti nella Penisola del Sinai, secondo lei?

R. – Non ha pensato di fare qualcosa di speciale, perché il governo è già in difficoltà con i terroristi del Sinai cercando proteggere i suoi militari che regolarmente subiscono perdite. Una cosa bella da sottolineare è che gli esuli sono stati accolti a Ismailia, sul Canale di Suez, non solo da cristiani evangelici ma anche da musulmani e il governo cerca di aiutarli; però hanno perso tutto ciò che avevano costruito nel corso di anni …

D. – Al Cairo, durante una recente conferenza su “Libertà e cittadinanza”, organizzata dall’Università di al Azhar, il Grande Imam Al Tayyib ha condannato questa nuova spirale di violenze contro i cristiani nel Sinai. Quanto contano queste parole?

R. – Sono parole che lui deve dire e penso che sia sincero. Ma questo non significa che sul terreno potrà fare qualcosa o farà qualcosa. Lui ha organizzato questo grande convegno su “Libertà e cittadinanza”, invitando tanta gente, cristiani, in particolare: erano presenti i Patriarchi del Medio Oriente. Il principio che è emerso è molto importante: non fare distinzione tra cittadini a causa della religione. O siamo tutti cittadini o non c’è più un Paese. Questo è un grande passo avanti, purché si prenda sul serio e si vada fino in fondo. E’ quello che noi chiediamo. “Cittadino” significa anche riconoscimento della Carta Universale dei Diritti Umani, dove non c’è differenza secondo la religione o secondo il sesso o secondo qualunque altro criterio. Attualmente c’è questa distinzione, per esempio nel caso dell’eredità; nel sistema musulmano applicato in Egitto, la donna riceve la metà rispetto a quello che riceve l’uomo, i suoi fratelli. Anche la questione del divorzio: l’uomo ha sempre il diritto di mandare via la moglie con una semplice decisione. Il presidente al-Sisi due settimane fa ha chiesto ufficialmente che sia cancellata questa norma. Purtroppo, al Azhar ha rifiutato dicendo: “Questa norma esisteva già al tempo del Profeta, non possiamo toccarla”.








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