2017-02-17 10:44:00

Don Buonaiuto: vincere disagio giovanile ridando senso alle relazioni


In questi giorni, diversi drammatici fatti di cronaca, hanno riportato in primo piano il disagio giovanile. Ha scosso in particolare l’opinione pubblica il suicidio di un ragazzo trovato in possesso di hashish, durante una perquisizione antidroga della Guardia di Finanza, su richiesta della madre del giovane. Sulle radici di questo disagio, Alessandro Gisotti ha intervistato don Aldo Buonaiuto che, per la Comunità Giovanni XXIII, si occupa da anni di giovani in situazioni di difficoltà:

R. – Noi abbiamo tantissimi giovani che hanno scelto di fare un percorso. Don Benzi, il nostro fondatore, iniziò negli anni ’80 proprio per dare speranza e dignità a questi giovani, giovanissimi, che avevano accettato più il percorso della morte che quello della vita. Questi ragazzi che non hanno riferimenti interiori, molto spesso non riescono più neanche a distinguere il bene dal male, non hanno un’identità precisa, si sentono in balia di un ambiente sociale che offre più il piacere che la felicità, che il senso della vita.

D. - Su questo disagio giovanile c’è poi l’impatto della diffusione delle droghe, definite a volte “leggere”, ma le cui conseguenze non sono mai leggere, vero?

R. - Non esistono le droghe leggere o le droghe pesanti. Sono tutte pesanti perché producono dipendenza, perdita del senso della realtà, annullamento della coscienza morale. Per non parlare delle droghe chiamate “sintetiche”, che prese per un periodo, possono arrivare addirittura a distruggere il cervello. Quindi noi abbiamo tanti ragazzi; li vediamo davanti ai nostri occhi e immaginiamo le famiglie quanto possano soffrire nel vedere questi ragazzi distrutti a causa di queste sostanze. Davanti ai nostri giovani che cercano le sostanze, c’è tutto un mondo criminale che le fabbrica, che le produce proprio per offrire questa morte, questa distruzione ai nostri ragazzi.

D. - Una cosa che colpisce, e che davvero è agghiacciante, è come alcuni giovani arrivano anche a compiere il suicidio e i genitori, o comunque gli educatori, non si erano accorti del loro disagio. Sembrava che tutto fosse normale …

R. - I gesti estremi, certo, che rivelano sempre uno stato interiore di grande disperazione; una disperazione che però a volte proprio le persone più care, sono le ultime a comprendere o magari i figli fanno del tutto per non far percepire loro lo stato di grande disagio, di grande frustrazione o di grande vuoto che stanno vivendo. Quindi molto spesso le persone che i giovani amano di più sono quelle a cui nascondono meglio il proprio stato emotivo, di solitudine e di isolamento. In una società super-tecnologizzata, dove chiamiamo tutti “amici” anche persone perfettamente sconosciute, vediamo i ragazzi sempre più soli, più isolati. Nessuno li aiuta più a riflettere a pensare; manca il dialogo che è sempre più carente - diciamolo - anche nelle famiglie; prevale la fretta nel fare, nel correre, nel realizzare, ma manca il midollo del senso della vita che è la relazione. Qui c’è una crisi spaventosa di relazione nelle famiglie, nella società, dove le persone non si parlano più. Non basta mandare delle faccine via sms per comunicare qualcosa e non guardarsi più negli occhi, non abbracciarsi, non rivelarsi, non confidarsi e non parlarsi più.








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