2017-02-10 15:53:00

Legge fine vita: rischio introduzione eutanasia?


“A essere franchi, il testo non parla mai direttamente di eutanasia assistita, ma il timore è che, tra le righe, ci si avvii verso quel tipo di strada. Ed è obbiettivamente rischioso cercare di fare passare un’idea del genere che avrebbe gravi ripercussioni sul ruolo del medico dal punto di vista deontologico e professionale”. Queste perplessità sul progetto di legge dedicato al fine vita, che presto potrebbe essere discusso dal Parlamento italiano, sono espresse da Antonio Pisani, neurologo dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata  e della Fondazione Santa Lucia IRCCS.

Curare a metà? 
 “A leggere questo testo – continua il medico - sembrerebbe che una persona sottoposta a un trattamento medico possa prendere la decisione su ‘quanto’ farsi curare, allo stesso modo che un cliente che compra un’assicurazione può inserire o meno degli optional. Ma ciò non è, secondo me, a discrezione del malato: se io come medico propongo una cura la propongo dalla A alla Z e non a metà. E qui entra anche in gioco il ruolo istituzionale dell’Università: ai nostri studenti di medicina non possiamo insegnare a curare a metà o secondo le volontà del paziente. Ciò implicherebbe uno stravolgimento della tipologia del nostro insegnamento”. “Anche equiparare idratazione e nutrizione artificiale a delle terapie, che il paziente può rifiutare, come fa questo testo – conclude Pisani -  è una scelta che, al di là delle convinzioni etiche religiose, pone un problema. Di fronte a una situazione terminale, dal punto di vista legislativo, si deve assicurare il cosiddetto trattamento indispensabile e non è assolutamente chiaro come un paziente in quelle condizioni possa esprimere personalmente la volontà di sospenderlo, o lasciar detto a qualcuno di farlo in sua vece. Non è una questione facile, ma immaginare che una vita possa concludersi così, mi pare un po’ rischioso”.

A rischio la relazione medico - paziente 
“Come medico questo testo di legge mi preoccupa perché il nostro ruolo va inserito in un contesto relazionale con il paziente e con la sua famiglia e questo progetto di legge isola il medico e  minimizza l’importanza di questa relazione”, aggiunge Giorgio Minotti, preside della facoltà dipartimentale di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. “Mi preoccupa anche come formatore di giovani medici, perché quelli che oggi sono studenti e domani saranno medici si stanno preparando a un’interazione con il paziente che si basa sulla trasmissione semplice e chiara, trasparente, di tutte le opzioni terapeutiche possibili, purché proporzionali alla malattia, nella speranza del coinvolgimento attivo e sereno del paziente. Qui tutto questo viene a mancare o comunque viene scardinato e dal testo traspare una scarsa conoscenza del significato della figura del medico”.

Se il medico diventa un erogatore di prestazioni 
“Parlare di eutanasia significa usare una parola pesante come un macigno”, prosegue il prof. Minotti. “Il testo non è esplicitamente rivolto a quello scopo. Ma la sua lettura, in questa fase di elaborazione, lascia spazio a un’interpretazione del genere. E’ un testo ampio, che non è rivolto solo alle situazioni estreme, terminali e può portare perciò a implicazioni preoccupanti”. “Infine credo che l’introduzione delle Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) vincolanti per il medico, riduce il suo ruolo a quello di un erogatore di prestazioni richieste. Il testo, così com’è concepito, è completamente cieco anche nei confronti dei progressi della medicina. Un paziente che non è curabile oggi, lo potrebbe essere fra due o tre anni. Quindi anticipare a oggi una decisione, di due o tre anni, significa negare la medicina come scienza che progredisce e fornisce nuove opzioni terapeutiche”.

Nutrizione e idratazione non sono atti medici 
“Sono sconcertato da questo testo. In vent’anni di assistenza a persone in stato vegetativo ho verificato che il rapporto di fiducia tra medico e paziente è basato su una libertà professionale e deontologica, psicologica e spirituale, che non può essere messa dentro confini che il legislatore, arrogantemente, presume di delimitare”, commenta infine l’avvocato Francesco Napolitano, presidente dell’Associazione Risveglio che gestisce ‘Casa Iride’, una delle poche strutture pubbliche dedicate in Italia alla cura di persone in stato vegetativo persistente. “Ed è sconcertante che in questa legge si parli di nutrizione e idratazione come atti medici, quando noi vediamo i familiari delle persone da noi ricoverate, alimentare, attraverso il sondino gastrico o le sacche che portano il cibo, i loro congiunti con un atto semplice e quotidiano. Questa superficialità va denunciata, perché non sembra una legge ma un regolamento amministrativo”.   








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