2017-02-10 14:05:00

La Siria sotto le bombe tra interessi locali e regionali


Ieri un edificio nel nord della Siria è stato bombardato durante un raid russo  provocando la morte di tre militari ed il ferimento di altri undici. Il Presidente Putin ha ammesso l’errore ed espresso le proprie condoglianze alle autorità turche. Intanto continuano i bombardamenti sul territorio siriano nonostante il cessate il fuoco dello scorso 30 dicembre. Al microfono di Giulia Angelucci ha fatto il punto della situazione Lorenzo Trombetta dell’Ansa:

R. – La situazione è che si combatte su vari fronti a seconda di quale guerra si sta combattendo in Siria: la guerra contro lo Stato Islamico è in corso, e, come sappiamo, su quella non c’è nessun cessate-il-fuoco che in qualche modo possa alleviare la sofferenza dei civili colpiti da queste violenze. L’altro conflitto, quello tra governo di Damasco e opposizioni, prosegue in maniera intermittente, più che altro nel nord e nel nord-ovest, a sud di Aleppo e in altre regioni dove le comunità locali continuano ad essere esposte alle violenze. Ci sono poi altri episodi di violenza molto gravi nelle regioni di Raqqa, di Deir ez-Zor, controllate dallo Stato Islamico, ma dove abitano comunque milioni di civili. Nel complesso ci sono delle zone assediate da parte dello Stato Islamico dove invece ci sono dei civili che sono in zone controllate dal governo.

D. – Notizia di ieri quella dei soldati turchi uccisi: quali potrebbero essere o saranno le prossime mosse diplomatiche della Turchia?

R. – Nessun cambio di rotta da un punto di vista diplomatico, politico e militare tra Russia e Turchia. La Russia ha già espresso le condoglianze; ha già chiesto scusa. I due Paesi, che si coordinano a livello militare, e che hanno già con l’Iran messo su un tavolo di verifica settimanale della tregua del 30 dicembre, hanno già annunciato in maniera congiunta che due inchieste parallele sono in corso ad Ankara e a Mosca per far luce sull’accaduto di ieri. Quindi due Paesi che vanno a braccetto, e i cui interessi convergenti non sono scalfiti nemmeno dall’assassinio – ricordiamolo, ad Ankara –dell’ambasciatore russo: nemmeno in quel caso c’è stato alcun vero contraccolpo, tantomeno per l’uccisione di tre soldati turchi in un contesto in cui la Russia bombarda e ha già ammesso di averlo fatto per errore.

D. – Oggi In realtà, per che cosa si combatte i Siria?

R. – Quello che a volte si dimentica è che dietro la retorica e la propaganda della guerra al terrorismo, che è anche molto forte nei nostri leader occidentali - tra i nostri decisori politici - loro combattono in Siria una vera e propria lotta per assicurarsi le risorse energetiche dei territori, delle zone d’influenza. Ovviamente, la presenza dello Stato islamico facilita questa retorica del dire: “Noi siamo lì per combattere il terrorismo, quindi abbiamo tutta la legittimità per usare le armi”. Il regime siriano, le autorità russe e i loro alleati iraniani affermano di combattere in Siria per liberarla dai terroristi. Anche lì sappiamo che l’Iran ha i suoi interessi strategici per espandersi in tutta la regione fino al Mediterraneo; il governo di Damasco resiste a una lotta di potere interna grazie proprio alla retorica del terrorismo. Diciamo che ogni attore coinvolto, anche dall’altra parte, anche i sauditi e tutte le forze dell’opposizione, accusano gli altri nemici di essere dei terroristi o individuano nei terroristi il vero obiettivo della loro offensiva. Di fatto, ognuno fa i propri interessi, sia a livello locale che regionale.

D. – Quindi ancora un oceano di dolore che colpisce in particolare i più poveri, le donne, i bambini, gli anziani…

R. – Senza dubbio le categorie più vulnerabili sono queste. Non dimentichiamoci anche che si parla sempre poco degli uomini, dei padri di famiglia, degli adulti maschi, che, perdendo il loro ruolo di portatori di un salario, perché sono impegnati in guerra, perché sono morti o disoccupati, perché non c’è più lavoro: questo crea un forte scompenso a livello sociale, socio-economico, in una struttura conservatrice, familiare, clanica e tribale come quella siriana e irachena. Se parliamo anche di domani e del lungo termine, si sta saldando una struttura familiare che è un po’ all’origine di una coesione sociale: gli uomini, i maschi adulti, sono anch’essi colpiti e vittime prima degli altri delle violenze. Sono i primi che vanno via e poi non torneranno, oppure lasciano un vuoto molto forte. La questione è che moltissime donne, in Siria per esempio, stanno assumendo gradualmente il ruolo dei maschi: una tendenza che si è radicata e che sta diventando in qualche modo un segno caratteristico di questa generazione di siriane e siriani di età media; trentenni siriane, che a dieci anni di distanza avranno comunque  una vita completamente diversa a quella delle loro madri e delle loro sorelle maggiori che hanno vissuto in un altro contesto.








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