2017-02-06 14:35:00

I rischi delle politiche protezioniste negli Usa e Ue


Dagli Stati Uniti all’Europa si vive un momento di chiusura e protezionismo. Dopo il bando all’immigrazione voluto dal Presidente americano Trump, in Francia Marine Le Pen, candidata all’Eliseo per il Front National, parla di possibili blocchi degli ingressi e di misure restrittive nei confronti degli stranieri. Negli Usa un centinaio di aziende americane hi-tech di primo piano, tra le quali Apple, Microsoft e Google, ha firmato un documento comune contro le politiche di Trump, mentre la Caritas e altre organizzazioni umanitarie criticano l’accordo dell’Italia con la Libia per il controllo delle partenze. Inoltre nei Paesi dell’est Europa si continua a parlare di muri sulla rotta balcanica. Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, e membro della Commissione Cei per le Migrazioni:

R. - La prima impressione che ho, e che ho da parecchio tempo, è la crisi della politica, cioè la crisi di una progettualità politica che sappia coniugare sicurezza e accoglienza. Di fatto, si pensa che il futuro debba essere contraddistinto da una chiusura in se stessi nei limiti degli Stati nazionali e delle economie nazionali. Questa, certamente è una reazione di fronte ad una globalizzazione che ha messo in ginocchio tanta parte di tanti popoli, ma certamente chiudersi in se stessi non è una risposta al problema. Purtroppo mancano delle leadership politiche. Però penso che questa, possa essere di converso, come è stato notato di recente da  alcuni autorevoli commentatori, una chance per l’Europa che deve saper mostrare, innanzi tutto a se stessa, all’Occidente,  poi agli Stati Uniti e al mondo che è possibile coniugare sicurezza e accoglienza, che non si torna indietro attraverso delle politiche nazionalistiche, ma che si può costruire qualcosa che sia un bene per i propri popoli e un bene anche quelli che stanno arrivando. Nella storia dell’Europa abbiamo visto come al coniugazione tra popoli possa essere portatrice di futuro e, certamente, occorre una politica che sappia gestire questo progetto per il futuro.

D. - Come far capire che non accogliere per un Paese vuol dire anche implodere su  se stesso soprattutto dal punto di vista economico?

R. - Certo, ma poi le chiusure si pagano sempre e la storia lo ha mostrato. Noi dobbiamo aiutare le persone ad avere speranza, capacità di progettualità. Quindi dobbiamo aiutare le persone a comprendere che l’accoglienza di chi sta arrivando non va contro la propria sicurezza, ma qui – ancora - nasce l’urgenza di un progetto politico. D’altra parte, lo vedo qui nella mia diocesi. Abbiamo accolto tanti profughi, abbiamo cercato di dare loro delle sedi dignitose, di fare delle scuole perché apprendano la lingua italiana e i valori fondamentali della nostra storia, abbiamo cercato anche di offrire occasioni di lavoro - non posti di lavoro, perché questo non è ancora possibile - perché sentano di avere una dignità. Penso che questa sia la strada e la popolazione locale capisce.

D. - Si rischia una frattura in questo momento in Europa o anche nei confronti degli Stati Uniti?

R. -  Penso che i  rischi siano molto grossi. Bisogna occupare tutte le energie possibili perché questi rischi vengano affrontati ed evitati. Bisogna costruire in avanti e non indietro.








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