2017-02-03 14:08:00

Centrafrica: nuove speranze, chiude campo sfollati di Mpoko


Chiude il campo sfollati di Mpoko all’aeroporto internazionale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Nel Paese l’emergenza non è ancora terminata, sia per la popolazione, sia per la violenza che a tutt’oggi percorre alcune zone. Ma permane la speranza di una completa pacificazione. Il servizio di Giada Aquilino:

È stato il luogo simbolo della violenta crisi che ha devastato il Centrafrica negli ultimi anni: il campo sfollati di Mpoko, sorto nel 2013 all’aeroporto internazionale di Bangui, lì dove due anni dopo sarebbe atterrato Papa Francesco per l’apertura della Porta Santa nella cattedrale della città. Nel corso del conflitto, col rovesciamento dell’ex presidente François Bozizé e gli scontri tra gruppi armati Seleka e milizie anti-Balaka, centinaia di migliaia di persone si sono ammassate lungo le piste di atterraggio dello scalo della capitale, in cerca di protezione dalle forze internazionali lì presenti con un contingente che, ancora oggi, conta 12 mila caschi blu. La testimonianza di frà Serge Mbremandji, provinciale a Bouar dei Frati Cappuccini del Centrafrica, raggiunto telefonicamente a Bangui:

R. – Il campo è chiuso ufficialmente. Però ci sono delle persone che stanno ancora lì, si dice mille, perché non hanno ancora ricevuto quello che il governo ha loro promesso: misure di accompagnamento e circa 50 mila franchi Cfa, che sono - mi sembra - circa 80 euro, per aiutarli nel loro ritorno a casa o nell’affittare un’abitazione in un’altra zona. Ma per lasciare il campo, il sito nell’aeroporto, sono troppo pochi, non bastano.

D. – E le persone che, invece, hanno già lasciato il campo ora dove si trovano? In che condizioni vivono?

R. – Lasciando il campo, alcuni sono andati in un’altra zona, abbastanza calma; altri invece sono dovuti tornare nel loro vecchio quartiere, ma hanno paura. Inoltre molte delle loro case non ci sono più e quindi hanno dovuto prendere delle tende da allestire, per cominciare a vivere là.

La chiusura del campo di Mpoko ha una duplice valenza, secondo Francesco Di Donna, coordinatore medico di Medici Senza Frontiere, che lì ha lavorato nell’ospedale allestito dall’organizzazione:

“Sicuramente è un segnale da un lato positivo, perché la crisi è un pochino diminuita nella Repubblica Centroafricana; però dall’altro è importante anche sottolineare che nel Paese i problemi sono tutt’altro che risolti. Una persona su quattro è ancora sfollata all’interno e al di fuori dei confini nazionali e molte persone dipendono ancora dagli aiuti umanitari per continuare a vivere”.

In tre anni, evidenzia Medici Senza Frontiere, proprio in quell’ospedale da campo si è stati testimoni di “orribili atrocità”. Ancora Francesco Di Donna:

“Ci occupavamo soprattutto di due attività. Una più sull'intervento di primo soccorso su feriti da arma bianca, soprattutto d'urgenza, per poi trasferirli negli ospedali della Croce Rossa o in un altro ospedale di MSF all'interno di Bangui. E poi c'era tutta la parte sulla salute primaria, che comprendeva anche la cura delle malattie per i bambini, come la malaria, la diarrea, e per le donne. Nel campo c'era una popolazione che ha raggiunto picchi di quasi 100 mila persone. E soprattutto nella fase acuta, iniziale, arrivavano tantissime persone, tantissimi pazienti con appunto segni di torture o mutilazioni o proprio ferite da guerra molto pesanti”.

Il Paese ora tenta di ripartire. L’anno scorso l’elezione del nuovo presidente, Faustin-Archange Touadéra. A fine gennaio, la visita della direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che ha stimato una crescita annua del 5% per il Centrafrica, nonostante il rallentamento dell’economia di tutta l’Africa subsahariana. Frà Serge Mbremandji fa il quadro della sicurezza nel Paese:

R. – A Bangui la situazione è abbastanza calma e tranquilla. Però nel nord e nel centro del Paese ci sono ancora uomini armati. Per esempio ieri mattina i ribelli sono entrati a Bocaranga, nel nordovest del Paese, nella diocesi di Bouar, e hanno cominciato a sparare, a bruciare le case. Hanno detto che lì ci sono stati circa 15 morti. Sono entrati anche dai Frati di Bocaranga e hanno rubato moto, computer, telefonini e un po’ di soldi.

D. – Cosa rimane oggi del messaggio portato dal Pontefice e dalle immagini dell’atterraggio del Papa all’aeroporto internazionale di Bangui, a fianco proprio ai profughi raccolti nel campo di Mpoko?

R. – Se oggi ho potuto dire che Bangui è tranquilla, è grazie a questo viaggio del Papa nel Paese. Per noi è stato un miracolo! Prima non si muoveva più niente: anche da Bouar non si poteva venire a Bangui. Da quel momento, invece, la strada è stata aperta. La visita del Papa ha portato molto nel Paese!








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