2017-01-23 11:58:00

Mons. Bregantini: Sinodo sui giovani darà slancio a tutta la Chiesa


Un avvenimento che può dare un rinnovato slancio a tutta la Chiesa. A dieci giorni dalla pubblicazione del Documento preparatorio per il Sinodo dei Vescovi sui giovani, in programma il prossimo anno, mons. Giancarlo Bregantini si sofferma – ai microfoni della Radio Vaticana – sulle sfide che la gioventù pone alla Chiesa. L’arcivescovo di Campobasso-Bojano, intervistato da Alessandro Gisotti, indica tre auspici, tre punti forti per questo avvenimento fortemente voluto da Papa Francesco, in continuità con il Sinodo sulla famiglia:

R. – Innanzitutto, spero che vengano accolte tre grandi problematiche che i giovani vivono. Un grande bisogno di paternità: bisogna recuperare la figura di San Giuseppe. Come lui si è posto con Gesù, un Gesù adolescente. Secondo: bisogna che questo Sinodo raccolga il grande problema della precarietà giovanile e quindi che non sia solo “ad interno”, i problemi riguardanti la fede, perché la fede spesso per i giovani va in crisi non avendo lavoro; che non è la disoccupazione, perché si può essere precari anche con un lavoro inadeguato. Terza cosa: che aiuti i giovani ad avere più coraggio sulle scelte vocazionali, che rilanci la bellezza di essere preti, cioè che dia alla Chiesa quello slancio, quell’entusiasmo, per poter ottenere anche una risposta adeguata sul piano vocazionale, dopo un lungo discernimento! Il primo punto chiede a noi adulti di accompagnarli; il secondo deve essere quello di Gesù, che a 30 anni lavora, anche lui nella precarietà di una bottega; il terzo elemento è l’entusiasmo: la Chiesa italiana e mondiale deve avere più slancio, più zelo, più passione, deve essere più capace di vivere la Evangelii Gaudium.

D. – Nella Lettera che il Papa ha indirizzato ai giovani di tutto il mondo, proprio in occasione della pubblicazione di questo documento, ha sottolineato che la Chiesa vuole “ascoltare i giovani”…

R. – Sì, il problema è accompagnarli, è più difficile ancora! Stare loro accanto, non farli perdere. E poi soprattutto, come nei dibattiti che già abbiamo avuto anche in diocesi, occorre che gli “anni della precarietà” non siano anni buttati via, ma siano anni in cui noi li aiutiamo a rileggere il Vangelo con gli occhi della precarietà. Le Beatitudini ad esempio, alla luce della precarietà, appaiono ancora più evangeliche. Allora la precarietà non è un’età persa, ma è un’età di conversione della Chiesa tutta; perché non posso accompagnare i giovani se io prete sono sistemato: io prete giovane ho già il mio stipendio e tu giovane, che lavori in una realtà precaria, non hai nulla la sera, perché non ti pagano... Ecco perché, per stare accanto ai giovani, per accompagnarli, occorre che noi adulti - noi Chiesa - ci convertiamo: loro sono per noi una santa provocazione positiva. Quindi non deve essere un Sinodo dove i giovani sono oggetto, ma dove sono “soggetto”, coinvolgendo anche noi a cambiare. I preti, ascoltando la precarietà giovanile, diventano più veri; le suore diventano più autentiche, più povere; le realtà monastiche diventano più aperte: questo è ciò che sognerei dal Sinodo!

D. – La Chiesa quanto riesce a farsi capire dai giovani, per ascoltarli e per accompagnarli? C’è anche un tema del rinnovamento del linguaggio?

R. – Certamente. Bisogna imparare da Papa Francesco. Di solito la sua forza non sta tanto in un linguaggio forbito, ma in un linguaggio vero, dove vedi che quello che lui ti dice lo ha vissuto, lo ha interiorizzato, lo ha sofferto…

D. – Lei è sempre stato molto presente nella vita dei giovani: che cosa i giovani le hanno dato? Cosa pensa che i giovani possano dare alla Chiesa?

R. – Io ho imparato molto da loro nelle scuole e questo è uno dei punti caldi che dovremmo recuperare. Preti cioè che stiano vicino alle scuole. Bisogna inventare una nuova presenza. Non potrebbe essere il cappellano scolastico? Cioè un prete che ha a cuore una grande scuola con 500 ragazzi: che li segue, dedica loro un giorno o due a settimana - la mattinata - riscopra la saggezza di don Milani: non tanto che cosa fare a scuola, ma come fare scuola. Ecco, quello secondo me è un altro degli spazi su cui lavorare. La scuola è uno spazio ancora aperto: con modalità differenti, non più come insegnanti di religione, ma come accompagnamento formativo di un prete della zona che segue una scuola.








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