2017-01-12 14:09:00

Iraq: raid turchi nel nord contro il Pkk curdo


C’è attesa per i colloqui di pace sulla Siria previsti in Kazakhstan a fine mese, mentre in una conversazione telefonica i presidenti di Russia e Turchia, Putin e Erdogan, si sono detti d'accordo sul fatto che la tregua regga sul terreno. Intanto in Iraq le forze governative hanno riconquistato l'80% di Mosul est, finora nelle mani dell'Is, mentre la Turchia ha bombardato alcuni rifugi del Pkk curdo a nord del Paese. Ieri, poi, i due principali partiti curdi iracheni, cioè il Partito democratico del Kurdistan, Pdk, e l'Unione patriottica del Kurdistan, Upk, hanno raggiunto un accordo per organizzare un referendum sull'indipendenza della regione autonoma del Kurdistan da Baghdad da tenersi dopo la sconfitta dell'Is. Proprio la questione curda è uno dei tanti temi che si affiancano alla lotta all’Is in Medio Oriente, come spiega Massimo Campanini, docente di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, al microfono di Michele Raviart:

R. – La Turchia non può rinunciare ad una posizione di forza nei confronti del problema curdo, perché evidentemente è una minaccia che potrebbe rischiare veramente di minare alla base la solidità dello Stato. Questo ha giustificato all’inizio la politica, che è stata definita ambigua, della Turchia nei confronti dell’Is in Siria e nell’alto Iraq. Secondo questa direttiva di difesa nazionale - che l’eventuale nascita di uno Stato curdo metterebbe a rischio - la politica turca si è sempre mossa fin dall’inizio. Ci sono altre due variabili da considerare: la prima è il fatto che il Pkk è un movimento turco e non è un movimento iracheno; e la seconda variabile sta nel fatto che il problema curdo è un problema regionale, che coinvolge cinque Stati, che sono la Turchia, l’Azerbaigian, la Siria, l’Iraq e l’Iran. Bisogna poi tener presente il fatto che i curdi hanno una storia decennale di feroci lotte intestine…

D. – Gran parte degli Stati che lei ha citato e i curdi stessi sono occupati anche nella lotta al sedicente Stato Islamico in Iraq: le ultime notizie che arrivano da Mosul dicono che in tre settimane Mosul cadrà… Quale futuro si può prospettare per l’Iraq?

R. – L’Iraq è ormai, allo stato dei fatti, un Paese dissolto. Pensare di ricostituire un Iraq unito com’era all’epoca di Saddam Hussein è politicamente impensabile. L’Iraq deve mirare ad una soluzione federale, tenendo presente che la zona di Mosul è una zona ad altissima concentrazione petrolifera. E credo che non sia infatti casuale il fatto che il sedicente Stato Islamico in Iraq – è anche vero che ovviamente non avrebbe potuto farlo nella parte meridionale, perché c’era il controllo iraniano – abbia voluto ramificarsi e consolidarsi proprio nella zona di Mosul. Ma questo petrolio iracheno del nord, prima che apparisse lo Stato Islamico dell’Is, era sostanzialmente controllato dai curdi: quindi è chiaro che l’eventuale suddivisione o federalizzazione del Paese deve tenere conto di questa importante risorsa economica potenziale della realtà presente e del futuro.

D. – La crisi in Siria: si sta preparando qil tavolo di negoziati che probabilmente a fine mese si terrà ad Astana, la capitale del Kazakhistan. Lì quali sono gli interessi delle forze coinvolte?

R. - Sul campo ci sono essenzialmente tre elementi. Il primo è Bashar al-Assad; gli altri due fattori sono l’opposizione - diciamo - democratica, quella della Siria libera, e le forze di orientamento fondamentalista: entrambe queste forze sono meno solide e meno autorevoli di quella di Bashar al-Assad, attorno a cui inevitabilmente vira non solo l’interesse russo, ma anche l’interesse iraniano. Mancando delle alternative serie ed essendoci una unità di intenti tra Mosca e Washington, in tutta apparenza si dovrebbe poter arrivare in maniera relativamente facile ad una soluzione condivisa.








All the contents on this site are copyrighted ©.