2017-01-11 11:16:00

Obama, ultimo saluto: "yes we did". Non imitiamo Russia e Cina


‘Yes we did’: l’ultimo saluto del 44mo presidente uscente degli Stati Uniti Barak Obama, nella sua Chicago, in un clima di forte commozione, dove 8 anni fa, nella leggendaria notte elettorale, aveva gridato, conquistando la Casa Bianca lo slogan ‘Yes we can’. Il servizio di Roberta Gisotti:

‘Yes we did’, ce l’abbiamo fatta, ha sottolineato con orgoglio Obama, perché “oggi l’America è un Paese migliore”, ha detto, rivendicando quelle che secondo lui, ma forse non per gli americani che hanno preferito Trump alla Clinton, sono state grandi conquiste civili, tra queste la legalizzazione delle nozze gay, il salvataggio dell’industria automobilistica, la lotta allo Stato islamico. Non ha citato Obama il presidente eletto Trump, se non per dire che farà di tutto per agevolare la transizione, ma non è quello che è apparso finora. Ha parlato poi del futuro del Paese, assicurato che lavorerà per il bene degli Stati Uniti anche fuori della Casa Bianca per salvaguardare i principi di libertà, uguaglianza, democrazia, che in questa fase la minaccia del terrorismo rischia di intaccare, mettendo in guardia dal discriminare i musulmani d’America e le minoranze, a partire da quella afroamericana. Un richiamo anche ai cambiamenti climatici: negarli – ha detto – sarebbe tradire le generazioni future e lo spirito del Paese. Infine il monito a non imitare la Russia e la Cina, “potenze rivali” che non possono eguagliare la nostra influenza sul mondo - ha lanciato il suo affondo Obama - a meno che non  molliamo quello in cui crediamo e ci trasformiamo in un Paese che fa il prepotente con i vicini più piccoli. Ultimo omaggio alla moglie Michelle, “la mia migliore amica”, che mi ha “reso orgoglioso”. 

Sul discorso del presidente Barack Obama, Massimiliano Menichetti ha intervistato l’americanista Ferdinando Fasce, docente di Storia Contemporanea all’Università di Genova:

R. – Credo che, pur considerando i limiti, i problemi, le opacità del doppio mandato di Obama, non si possa  non convenire con il fatto che quando Obama dice ”Yes we did” non è lontano dalla realtà. Sul piano internazionale ha ragione ad affermare che ha riportato a casa la maggioranza delle truppe, ha ragione a ricordare l’accordo sul nucleare con l’Iran e la non meno importante iniziativa sul cambiamento climatico.

D. - Sul piano interno spiccano la riforma sanitaria con luci ed ombre, soprattutto sulla questione dell’aborto, e poi il lavoro …

R. – Non mancano le ombre sulla riforma sanitaria, ma oggi venti milioni in più di statunitensi hanno accesso alle cure. Obama eredita da John W. Bush non solo due guerre, ma una recessione che non si vedeva dal 1922 con una disoccupazione che viaggiava sulle doppie cifre. Oggi la disoccupazione - di nuovo pur con limiti, lavori temporanei,  problemi…  - si attesta a poco più del quattro percento.

D. - Cosa succederà adesso che il neo presidente eletto Trump in sostanza ha già fatto capire che smantellerà molto di ciò che ha fatto Obama puntando su un ulteriore rilancio dell’occupazione?

R. - Premettiamo che Trump ha abilmente giocato su sacche di scontento che ci sono:  sacche di difficoltà, di sofferenza, di povertà. Come possa aiutare questi strati con le sue politiche è ancora da vedere. Adesso abbiamo avuto alcune uscite significative, come questi impegni da parte delle imprese dell’auto …

D. - Bloccare la produzione in Messico ed investire sul territorio statunitense …

R. - Rispetto a questo vedo due facce. Il fatto indubbiamente positivo  è che ci sono investimenti, però vedo anche che è una procedura che non passa attraverso un’esplicita, trasparente contrattazione, ma c’è Trump che manda tweet e gli imprenditori che si allineano. Qui, mi pare che ci siano dei problemi dal punto di vista del rapporto tra economia e politica in una liberal democrazia.

D. - Guardando alla politica internazionale, posizioni simili tra i due rispetto alla Cina, ma sulla Russia Trump accorcia una distanza …

R. - Obama aveva preso le distanze per la politica aggressiva di Mosca; Trump ci si riconosce meglio perché gli sembra di poter instaurare un rapporto di nuovo da leader che direttamente può contrattare essendosi riconosciuto in una qualche lunghezza d’onda con Putin. Ma qui poi bisogna veder le dinamiche geopolitiche reali. Più continuità probabilmente c’è rispetto alla Cina, anche se ancora dovremo vedere perché non bisogna dimenticare che questo atteggiamento di dichiarato neo protezionismo trumpiano potrebbe suscitare, e in parte ha già suscitato, delle reazioni negative.

D. - Ci saranno nuovi equilibri oppure è tutta una partita da giovare sia sul fronte interno che su quello esterno?

È una partita ancora tutta da giovare perché non bisogna trascurare la complessità della macchina repubblicana e l’imprevedibilità di Trump.








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