2017-01-09 15:13:00

Il silenzio come preghiera


“La genesi del libro sta nella mia esperienza come direttore di un centro di spiritualità vicino a Torino. Da nove anni dirigo il Centro Madre Unitatis a Druento e ho la possibilità di incontrare molti laici per affrontare insieme percorsi di approfondimento spirituale, nella consapevolezza che il viaggio essenziale della vita è quello verso se stessi, come diceva Martin Buber. In questo percorso si scopre la dimensione fondamentale dell’essere che è quella dell’incontro con il divino, che abbiamo imparato a chiamare Dio, il Dio di Gesù Cristo che è dentro di noi”. Così, don Paolo Scquizzato, sacerdote del Cottolengo, presenta il suo libro Ancor meglio tacendo, una riflessione sulla preghiera cristiana silenziosa, pubblicata da Effatà editrice.

Pregare non è dire preghiere

“La preghiera - che è come respirare, vivere, appartiene alla dimensione fondamentale dell’esistenza - è soprattutto un accogliere qualcosa che viene dal di dentro, che è già dato”, spiega Scquizzato. “Dire le preghiere è una pratica ancora molto ‘religiosa’ e il cristianesimo non è più una religione: è una fede, un’accoglienza, un aprirsi per essere. E proprio questo significa pregare. Non è un domandare per avere, per impetrare, per attirare a se. Ma è un accogliere, un aprirsi per essere, per dilatarsi, per diventare se stessi in pienezza. In questo senso, penso che la preghiera come ‘dire’,‘recitare’, non è ancora la preghiera cristiana”.

Silenzio necessario

“Perché ci sia preghiera, perché ci sia contatto con questa energia interiore, con questa luce che abbiamo imparato a chiamare Spirito, questo viaggio interiore necessita di silenzio: che non vuol dire non dire parole, perché allora saremmo soltanto muti. Ma vuol dire mettere a tacere, cercare di frantumare, le parole, le immagini, le idee, anche se sante, anche se santissime. Quindi, anche gli stessi pensieri e le idee su Dio. Ecco, questo significa fare silenzio per fare finalmente emergere il divino che è in noi”.

In contatto con la Luce

“Pregare è entrare in contatto con la propria sorgente interiore. Si tratta di quel principio vitale, quella luce, quell’energia, che noi cristiani chiamiamo Spirito Santo. E’ una dimensione che può emergere, fuoriuscire, imbeverci,  inzupparci, provocando quindi la nostra trasfigurazione, a patto che diminuisca e si frantumi sempre più il nostro io. Santa Caterina da Genova, diceva che dove c’è Dio non c’è l’io, ma dove c’è l’io non c’è più Dio. Bisogna scegliere”.

Le sorprese dello Spirito

“Bisogna essere pronti all’imprevisto. Ciò avviene quando si fa emergere ciò che è già dentro, perché non sappiamo fino in fondo cosa può emergere da noi. Certamente, può emergere l’essenziale che è dentro di noi, che noi chiamiamo amore. E un impulso nella direzione della fantasia dello spirito può arrivarci da esperienze esterne alla nostra. Noi cristiani per troppo tempo abbiamo snobbato le ricchezze dello Spirito  provenienti da altrove. Ma Gesù dice che lo Spirito soffia dove vuole e da dove vuole. E credo che quindi sia giunto il momento di attingere anche da esperienze extra-cristiane, buddhismo, nella tradizione Zen Soto, taoismo, induismo. Tutte ricchezze imprescindibili. E non possiamo dirci cristiani se non sappiamo attingervi”.








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