2017-01-03 13:30:00

Patriarca Sako: "Natale in Iraq, momento di vicinanza con l'Islam"


Le recenti festività natalizie hanno rappresentato un forte segno di speranza per la rinascita dell’Iraq, stremato da guerra e violenze. Nonostante i rischi di attentati, le celebrazioni hanno registrato la folta partecipazione anche delle realtà islamiche e delle altre minoranze a quella cristiana; una sorta di “rivolta della base contro il terrorismo, a difesa della vita, della pace e della gioia”. E’ questo il pensiero del patriarca caldeo, mons. Louis Raphael Sako. Ascoltiamolo nell’intervista realizzata da Giancarlo La Vella:

R. – Quest’anno il Natale ha avuto un altro sapore, perché c’è una presa di coscienza nel rispettare i cristiani, ma soprattutto la loro fede. Siamo veramente molto colpiti: è la prima volta che tanta gente viene in Chiesa. Tanti responsabili del governo, le autorità religiose ci hanno mandato lettere di augurio. Sono tutte da parte dei musulmani. Penso che questa rappresenti una vera speranza.

D. – E’ molto importante che la cittadinanza continui a dialogare e a convivere pacificamente. Questo potrà influire sulla situazione del Paese?

R. – Penso che due cose siano cambiate. La prima è la posizione così chiara della Chiesa per la pace, il dialogo, l’unità dell’Iraq. La seconda è che la realtà civile è accolgiente nei confronti di tutti gli iracheni indipendentemente da religione o etnia. Inoltre, noi abbiamo aiutato tanti musulmani rifugiati a Baghdad, ma anche nelle zone sunnite e sciite tramite la Caritas e il nostro patriarcato. I media poi hanno fatto un lavoro ottimo. Tante televisioni hanno trasmesso le celebrazioni del Natale per dare un messaggio di pace non solo ai cristiani, ma a tutti. Dunque c’è qualcosa che si muove e speriamo che questo processo possa continuare.

D.  – Su questa base è possibile ricostruire un Iraq multietnico, multiculturale e multireligioso, in pace?

R. – E’ il nostro destino: l’Iraq non sarà Iraq senza cristiani, senza yazidi, sciiti e sunniti… Il problema però non è solo fra gli iracheni, il problema è anche regionale. L’impatto dei Paesi vicini è molto grande. Noi non siamo abituati alla cultura settaria, questa viene da fuori; e anche l'ideologia di Daesh, il fondamentalismo, vengono da fuori. Speriamo che la situazione cambi.

D. – Ma i cristiani che sono fuggiti dalle violenze in Iraq stanno rientrando?

R. – Questo è più complicato, perché loro per ora non possono tornare, Mosul non è stata liberata e c’è molto pericolo. Inoltre, bisogna ricostruire le case, le strade, le infrastrutture… C’è tanto lavoro da fare. Tanti vogliono ritornare, alcuni sono andati a vedere lo stato delle loro case… Io ho visitato due volte questi villaggi per dire che è la nostra terra e noi ritorniamo, ma ci vuole tempo e un gran lavoro. Ci sono villaggi quasi totalmente distrutti, ma abbiamo tanta speranza.








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