2016-12-30 14:21:00

Iraq: 10 anni fa l'uccisione di Saddam Hussein


In Iraq continua l’offensiva dei governativi su Mosul per liberare la città dall’occupazione del sedicente Stato islamico. Oggi, intanto, ricorre il decimo anno dalla morte di Saddam Hussein, che fu presidente iracheno dal 1979 al 2003. L’ex rais, fu catturato dai militari americani a Tikrit, sua città natale, e poi impiccato dopo la condanna a morte  del tribunale speciale di Baghdad per il massacro di Dujail del 1982 in cui morirono 148 sciiti. Sulla figura di Saddam Hussein, Elvira Ragosta ha intervistato Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internazionali alla Luiss:

R. – E’ stata una figura di un leader politico centrale per oltre un decennio nel Grande Medio Oriente; è stato inizialmente un alleato dell’Occidente: gli Stati Uniti l’hanno sostenuto nella guerra contro l’Iran e poi il rapporto si è capovolto, nel giro di pochi anni, con l’invasione del Kuwait, con ricadute e con il seguente intervento americano che poi ha portato alla sua uccisione.

D. – Saddam Hussein è stato al potere dal 1979 al 2003: il suo è stato un regime caratterizzato anche dai massacri dei curdi e degli sciiti …

R. – Certamente ci sono stati molti aspetti negativi del suo regime. Le minoranze hanno avuto sempre una vita molto, molto difficile: sciiti e curdi hanno sempre avuto momenti di difficilissima gestione, sono stati perseguitati, ci sono stati massacri per cui il leader è stato poi incriminato.

D. – Dalla morte di Saddam Hussein, come è cambiato l’Iraq, oggi in parte occupato dal sedicente Stato islamico?

R. – C’è stato un capovolgimento radicale del contesto geopolitico. Durante il periodo-Saddam, nel bene e nel male il Paese era stabile ed era unificato sotto la sua guida, una guida – tutto sommato – abbastanza laica e pluralista: ricordiamo figure preminenti nel suo governo che erano figure cristiane. Oggi il Paese è disaggregato, è fondamentalmente a guida sunnita; c’è una parte che è sotto il controllo dell’Isis; i curdi sono sempre più autonomi a nord, e la sua disaggregazione crea instabilità in tutto il Grande Medio Oriente. Certamente, quindi, l’uscita di scena di Saddam ha contribuito a destabilizzare l’area.

D. – A proposito dell’Is, è ripresa l’offensiva delle forze irachene appoggiate dalla coalizione internazionale per liberare Mosul, nominata capitale irachena dell’autoproclamato califfato nel 2014. Quanto è importante sconfiggere l’Is in questo momento?

R. – Certamente l’Isis è un cancro che va debellato, però questo non sarà sicuramente la fine del grande periodo di instabilità mediorientale. Rimarrà la tensione tra sunniti e sciiti; c’è tutta la questione dei curdi: dei curdi in Iraq così come dei curdi in Siria; e c’è poi la questione più generale del ruolo dell’Islam politico all’interno dei regimi mediorientali: problemi che devono ancora trovare una soluzione efficace …

D. – Che cosa prevedere per il futuro politico dell’Iraq una volta che sarà avvenuta la liberazione dalla presenza del sedicente Stato islamico?

R. – Qui ci sono due tipi di scenari: c’è uno scenario che vede un Iraq frammentato, diviso, in cui la parte a Est rimane sotto il controllo sciita, la parte a Ovest si organizza sotto una guida sunnita più indipendente, e a Nord abbiamo i curdi: una sorta di federazione dove di fatto troviamo tre aree che hanno una quasi-autonomia. L’altro scenario è, invece, la ricostituzione di uno Stato forte, unitario, stabile che certamente giocherebbe un ruolo cruciale di leadership nel Medio Oriente, ma questo secondo scenario cozza contro la fortissima presenza iraniana, sostenuta in parte dagli Stati Uniti con l’Accordo sul nucleare iraniano: quindi, questa è una questione che rimane sospesa, soprattutto se noi pensiamo agli orientamenti che sono stati annunciati dalla nuova presidenza americana di Trump che punta a rinegoziare il ruolo dell’Iran nel contesto mediorientale.








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