2016-12-29 11:11:00

Mozambico: entrato in vigore il cessate il fuoco di sette giorni


E' entrato in vigore a partire dalla mezzanotte di oggi e resterà in forza in tutto il Mozambico per almeno sette giorni il cessate il fuoco dichiarato dal leader della Renamo, Afonso Dhlakama. Il gruppo armato antigovernativo, oggi principale partito dell'opposizione, si contrappone al Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo) del presidente Felipe Nyusi. Nel Paese sono in corso tensioni e violenze nonostante il cammino di pacificazione avviato dopo oltre venti anni di guerra civile. Massimiliano Menichetti ha intervistato Pietro De Carli, esperto dell’area:

R. – Il fatto che finalmente si siano raggiunti una tregua e un accordo è veramente salutare per questo Paese. Dopo il processo di pace che avvenne nei primi anni Novanta con l’apporto di Sant’Egidio, del governo italiano, c’è stato un periodo molto positivo, nel senso che finalmente si era superata una guerra civile disastrosa; e con questa rinnovata tensione tra la Renamo e il governo mozambicano guidato dalla Frelimo le preoccupazioni erano numerose…

D. – La pace nel Paese è stata siglata: fortunatamente non c’è la guerra civile. Ma perché sono ripresi questi scontri?

R. – Diciamo che il processo di democratizzazione del Paese è avvenuto in maniera abbastanza limitata: imporre soluzioni senza dialogo con l’opposizione non ha giovato. Il fatto nuovo ultimo che c’è stata la scoperta di giacimenti di gas, petrolio, carbone probabilmente ha sollevato gli appetiti per cui qualcuno si è sentito escluso: questa è una supposizione che viene evidenziata molto spesso, in Mozambico.

D. – Grande, in questo momento, è la mediazione internazionale. Qual è il futuro per il Paese, secondo lei?

R. – Questo Paese ha assolutamente bisogno di pace. Io mi auguro che si ritorni a una capacità di dialogo anche da parte del governo e che l’opposizione assuma una maggiore responsabilità. C’è una terza forza, in gioco, che si chiama “Movimento democratico del Mozambico”, capeggiato dal sindaco di Beira, Daviz Simango, che era la forza su cui tutti puntavano, era la forza nata da una costola della Renamo pur avendo una visione più moderna, più democratica, più partecipativa del Paese. Gli ostacoli postigli dalla Frelimo e dall’altra parte, l’opposizione della Renamo a questa costola che temeva potesse diventare concorrente politico, l’ha in qualche modo immobilizzata e indebolita nella sua capacità di azione.

D. – Ora però si spera che la mediazione internazionale consenta anche la prosecuzione della tregua: quindi segnali positivi ci sono?

R. – Certo, indubbiamente. Più la comunità internazionale riesce a trovare una coesione nell’intervenire con una capacità di proposta di soluzione diplomatica delle crisi, e più evitiamo che le popolazioni debbano fuggire dai luoghi in cui sono radicate.

D. – C’è il rischio, secondo lei, che la comunità internazionale giochi un ruolo pesante nell’equilibrio all’interno dello Stato, per avere accesso ad alcune risorse che si sono scoperte nel Paese?

R. – Questo purtroppo è un dato mondiale. Cioè, tutti i Paesi – a partire dall’Occidente, dalla Cina, in particolar modo, che è molto più presente, ormai, in Africa, di quanto lo sia l’Occidente – esercitano un ruolo con degli scopi anche di collaborazione, di sviluppo economico ma ovviamente poi tutti cercano di trarne vantaggio. E questo contraddice un po’ lo spirito di cooperazione allo sviluppo che dovrebbe in qualche modo, invece, avere una sua finalità specifica indipendentemente da tutto. E’ chiaro che purtroppo le situazioni non sono sempre così limpide e chiare come vorremmo.

D. – Quindi, speriamo che almeno si faccia il bene del Paese, cioè delle persone, dei popoli…

R. – Teniamo conto che il Mozambico, almeno fino a pochi anni fa, aveva circa il 40 per cento del bilancio costruito sugli aiuti della comunità internazionale e questa sorta di dipendenza dall’estero aveva in qualche modo abituato la classe dirigente a non preoccuparsi dell’indebitamento dello Stato e quant’altro. E quindi bisogna che cresca anche il senso di responsabilità delle classi dirigenti del Paese ad avere più a cuore le sorti del loro Stato, della loro popolazione.








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