2016-12-25 08:00:00

Natale in Centrafrica: p. Gazzera, clima più sereno ma ancora violenze


Una guerra tra poveri, sempre più lontana dal palcoscenico mondiale: è quella che si consuma nel Centrafrica, tuttora terreno di scontri e violenza, soprattutto dopo l’abbandono dei 2 mila soldati francesi al termine dell’operazione militare “Sangaris”, avviata nel 2013 dalla Francia. Sono almeno 90 le persone rimaste uccise, nelle scorse settimane, nei combattimenti che hanno colpito la città di Bria, nella parte centro orientale del territorio. Due mesi fa, era ottobre, il massacro in un campo per sfollati nella parte settentrionale di Kaga-Bandoro. Almeno 37 le vittime per vendetta da parte di miliziani per l’uccisione di quattro musulmani. Nonostante il clima di tensione, si pensa al Natale, sicuramente più dimesso rispetto al resto del mondo, ma certamente evento di grande serenità e gioia nel ricordo della visita di Papa Francesco nel novembre 2015, con l'apertura della Porta Santa per il Giubileo della Misericordia. A raccontare il Natale in Centrafrica e l’attuale situazione nel Paese è padre Aurelio Gazzera, carmelitano missionario in Repubblica Centrafricana, intervistato da Sabrina Spagnoli:

R. – Il Natale in Centrafrica è molto più semplice che nel resto del mondo. Il Natale in genere è vissuto con qualche decorazione nelle chiese, con i presepi che sono abbastanza comuni un po’ ovunque, c'è soprattutto questa atmosfera un po’ più serena, più concentrata sul mistero del dono della nascita di Gesù e di questo Dio che si incarna, che comunque è sempre una sorpresa per tutti.

D. – Qual è attualmente la situazione? Cosa sta accadendo?

R. – La situazione è sempre piuttosto tesa. La visita del Papa, l’anno scorso, ha fatto molto, però c’è ancora molto da fare. Ci sono ancora tre quarti del Paese praticamente in mano ai ribelli, ai movimenti armati, il resto fatica ad andare avanti, anche perché molto del commercio e dell’economia è andato distrutto durante la guerra.

D. – Quali, ancora oggi, le cause che provocano scontri e colpi di Stato?

R. – Sono parecchie. Intanto, ci sono gli interessi di vari Paesi. Ci sono poi tensioni anche a livello di religione, quindi con alcuni Paesi del Golfo Arabo, ad esempio, che spingono per una maggiore presenza musulmana che nel Paese è sempre stata abbastanza ridotta, intorno al 10% e che però, in questi ultimi tre anni, si è fatta più battagliera, creando anche problemi, nonostante poi la maggioranza delle popolazioni cristiana e musulmana abbia sempre convissuto abbastanza bene.

D. – Quanto ha contato la visita di Papa Francesco per avviare il processo di rifiuto della violenza?

R. – La sua visita è stata uno "shock salutare" un po’ per tutti, ha permesso di capire che si poteva far fronte alla tensione in un altro modo, con maggiore apertura per creare ponti e cercare di costruire luoghi dove incontrarsi e dove discutere. Concretamente, quello che di positivo è successo dalla visita del Papa è che le tensioni e le violenze, pure se ci sono ancora, sono molto limitate soprattutto nel tempo, per cui non c’è più quella escalation che c’era prima che Francesco arrivasse.








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