2016-12-10 19:56:00

Siria, l'Is di nuovo a Palmira. Usa: un crimine i raid su Aleppo


Lo Stato islamico, dopo otto mesi, rientra a Palmira, l’antichissima città siriana da cui era stato cacciato dai russi. Intanto, secondo il regime di Damasco, migliaia di civili avrebbero lasciato oggi Aleppo est per andare nella parte controllata dai governativi. Francesca Sabatinelli:

C’è stato un prima per Palmira, quello sotto lo stato islamico, che ha tenuto in ostaggio la città dal maggio 2015 fino al marzo scorso, distruggendone i templi più belli, e decapitandone il custode, l’anziano archeologo di fama mondiale Khaled al-Asaad, e poi un dopo, la Palmira riconquistata dalle forze lealiste, che sembrava essere stata messa al sicuro. Ora, mentre il mondo continua a puntare i suoi occhi su Aleppo, Palmira sarebbe di nuovo sotto assedio, lacerata dalla battaglia tra jihadisti e forze governative. Ad Aleppo intanto a migliaia i civili avrebbero lasciato la parte est, per recarsi in altre zone controllate da Damasco che, nel frattempo, continua nel suo annientamento dei quartieri ancora nelle mani dei ribelli,  oltre mille dei quali, anche oggi, avrebbero deciso di arrendersi e quindi deporre le armi per garantirsi l’amnistia promessa dal regime. L’evacuazione dei civili per le Nazioni Unite, per voce dell’inviato speciale Staffan de Mistura, è una priorità. Il regime siriano è colpevole di crimini contro l’umanità, denuncia il Segretario di Stato americano Kerry, definendo il bombardamento da parte di Damasco come la peggior catastrofe dopo la seconda guerra mondiale. Si cerca comunque ancora la via diplomatica per tentare di evitare la totale distruzione di Aleppo. A Ginevra, stasera, riunione tecnica fra americani e russi per un accordo che salvi la città, mentre le forze di opposizione fanno sapere di essere pronte a riprendere i negoziati con il regime di Assad, senza pre-condizioni. 

Quale dunque il futuro ad oggi di Aleppo e del resto della Siria?  Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Camille Eid, giornalista libanese del quotidiano Avvenire:

R. – Mi sembra che il destino di Aleppo sia già segnato. La sua caduta segnerà sì un punto a favore di Assad, ma non la fine della guerra. La città di Aleppo si trova in una zona che è quasi completamente accerchiata o dai ribelli, ad Ovest, o dall’Is, ad Est. Quindi bisognerà lavorare – militarmente purtroppo – per riprendere il controllo dell’intera provincia di Idlib.

D. – Guerra o contro i ribelli o contro l’Is. Proprio l’Is si sta ripresentando a Palmira. C’è il dubbio che si possa ricominciare proprio da capo?

R. – Forse proprio l’occupazione della città non la vedo come una cosa immediata. Però l’Is è rimasto comunque nei dintorni, e negli ultimi giorni ha dimostrato tutta la sua capacità, occupando diversi pozzi di petrolio o siti strategici. Non si può quindi parlare di colpi di coda, ma di una vera e propria capacità militare, perché sta dimostrando di riuscire a resistere sia nella zona di Palmira che a Nord di Aleppo che nella città di Mosul.

D. – Lei sostiene anche che le pressioni che l’Is sta ricevendo in Siria e in Iraq lo starebbero portando a guardare più verso Oriente, in particolare alle Filippine. Ci sarebbe proprio una proclamazione imminente di una nuova provincia del gruppo terroristico lì…

R. – Questo però non vuol dire attualmente che i capi dell’Is pensino di trasferirsi; anche se chiaramente è sottintesa una forte ripresa delle azioni militari.

D. – Ma perché proprio nelle Filippine? Ci sono margini diversi, margini di manovra più ampi? Non mi sembra, perché mi pare che Duterte abbia già dichiarato loro guerra su tuti i fronti, no?

R. – Esattamente; però possiamo parlare di un terreno abbastanza “fertile”, nel senso che quando si parla di Filippine si intende l’isola meridionale di Mindanao, dove da decenni cova sotto le ceneri una rivolta della popolazione musulmana. Per cui ci sono diversi gruppi che hanno giurato fedeltà al Califfato e lì, guidati dall’Is, potrebbero tornare alla ribellione. Sono ipotesi: ci sono chiaramente diversi punti – in Africa piuttosto che nello stesso Medio Oriente – nello Yemen o in altri luoghi – che potrebbero “sostituire” il terreno perso dall’Is in Siria e in Iraq.

D. – Oggi giornata di lavoro della diplomazia: in base a quello che sta succedendo ad Aleppo cambieranno i termini in cui si svolgono questi colloqui?

R. – Chiaramente si tratta di un tempo perso. Nel giro di poche settimane ci sarà una nuova amministrazione americana; per cui gli americani puntano sull’educazione dei loro esperti presenti ad Aleppo Est. Per quanto riguarda la vittoria di Assad, si tratta di capire se l’amministrazione americana sarà disposta ad arrivare a un compromesso, e concentrare quindi tutti gli sforzi contro l’Is. Oppure se continueremo ad assistere alla vittoria di una parte su un fronte e a quella dei suoi rivali sull’altro fronte. In questo modo – chiaramente – la guerra non potrà avere fine.

D. – Esiste un’opposizione moderata ad Assad con un progetto credibile di transizione politica?

R. – I moderati, che all’inizio della rivolta contro Assad rappresentavano il nuovo volto di una Siria democratica, più realista hanno ora un ruolo molto attenuato. Continuano ad apparire a livello mediatico; ma il loro peso sul terreno, in un momento in cui sono le armi a dettare la politica, purtroppo non lo vedo un progetto credibile.








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