2016-12-07 08:04:00

Iraq: militari alla riconquista di Mosul. In Siria no alla tregua


L’offensiva delle forze governative irachene contro l’Is ha ripreso vigore e, nelle ultime ore, i militari hanno riconquistato un quartiere di Mosul. Ai successi contro i jihadisti in Iraq, risponde l’inesorabile bagno di sangue dei civili in Siria, dove proseguono i successi degli uomini di Assad, ma continua a fallire la trattativa per una tregua umanitaria. Francesca Sabatinelli:

Dopo settimane di stallo, le forze governative irachene hanno strappato un quartiere di Mosul al controllo dell’Is. La liberazione di al-Barid, nel nord della città, è la conseguenza dell’operazione lanciata a metà ottobre per cacciare il sedicente Stato islamico che ora si troverebbe sotto attacco anche in un altro quartiere, sempre nella zona nord di Mosul. L’offensiva non risparmia neanche il fronte sud, nella zona di al-Salam sarebbe stato conquistato un ospedale ritenuto una base dell’Is. Sul fronte siriano, invece, continua a fallire l’ipotesi di aprire ad una tregua umanitaria, nella totale incapacità di Russia e Stati Uniti di trovare un accordo. Le  truppe governative sono arrivate a controllare il 75% di Aleppo est, per anni in mano ai ribelli che ora, denunciano gli attivisti siriani, si trovano con le spalle al muro. Damasco non accetterà un accordo prima che i ribelli abbiano completamente lasciato Aleppo e, a sostegno di Assad, ieri è arrivato il veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza Onu ad una risoluzione che prevedeva un cessate il fuoco di una settimana. E continua così il conto delle vittime civili, moltissime delle quali bambini.

E l’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere ha lanciato un nuovo accorato appello in cui si chiede la fine dei bombardamenti su civili e ospedali. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere:

R. – Quello che bisogna dire è che solo ad Aleppo Est 30 strutture sanitarie sono state bombardate. Delle circa 30 ambulanze ora ce ne sono 5 funzionanti e, una volta che le persone vengono raccolte dalle macerie, non si capisce bene dove possano essere portate, perché gli ospedali sono seriamente danneggiati.

D. - C’è ormai una confusione tra il conflitto e il coinvolgimento dei civili e delle strutture sanitarie. Come mai sta avvenendo questo?

R. - Per varie ragioni. La più probabile è che l’area dei bombardamenti è talmente estesa che tocca necessariamente i civili e le strutture sanitarie. È evidente che in questo momento bisognerebbe fare una pausa, tentare di evacuare i feriti che ci sono e che non vengono seguiti in questo momento; inoltre tentare di approvvigionare dal punto di vista sanitario le strutture che tentano di continuare a lavorare, perché il numero dei civili colpiti è in costante crescita: dal 23 settembre al 24 novembre ci sono stati più di 4350 feriti di cui 510 bambini, mentre ci è stato segnalato il decesso di 1060 persone tra cui 150 bambini. In questo caso parliamo solo delle persone che giungono negli ospedali in qualche modo approvvigionati da noi. Sicuramente ci sono altre vittime civili sotto le macerie e altre che vengono sepolte in un modo abbastanza rapido e non rientrano nei conteggi ufficiali. Quindi siamo in una fase drammatica e il racconto delle persone con cui lavoravamo e che continuiamo ad appoggiare diventa sempre più drammatico; viene rotto dal pianto, dalla loro disperazione. Una situazione così grave, come quella dell’ultima settimana, non si è mai vista durante l’assedio.

D. - Il “No” al Consiglio di Sicurezza a una nuova tregua e quindi alla possibilità di aprire corridoi umanitari, in che posizione sta mettendo le organizzazioni umanitarie, quindi anche Medici senza Frontiere?

R. – Non è pensabile, nemmeno durante un conflitto, che i civili soffrano così gravemente la mancanza di aiuto umanitario. Tutto questo va contro la risoluzione recente ratificata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la n. 2286, che impegna gli Stati membri a proteggere i civili e i servizi medici di cui hanno particolare bisogno per sopravvivere. 

 








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