2016-12-01 10:45:00

Il Papa ricorda Charles de Foucauld a 100 anni dall'assassinio


Al termine della Messa a Santa Marta, Papa Francesco ha ricordato che oggi ricorre il centesimo anniversario dell’assassinio del Beato Charles de Foucauld, avvenuto in Algeria il primo dicembre 1916. Era “un uomo - ha detto - che ha vinto tante resistenze e ha dato una testimonianza che ha fatto bene alla Chiesa. Chiediamo che ci benedica dal cielo e ci aiuti a camminare sulle sue tracce di povertà, contemplazione e servizio ai poveri”. Sulla figura di Charles de Foucauld ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti.

Charles de Foucauld nasce da famiglia nobile a Strasburgo il 15 settembre 1858. Persi a 6 anni entrambi i genitori, vive in modo disordinato. Entra nell’esercito francese ma viene congedato per indisciplina. Inizia a viaggiare in Nord Africa come esploratore. Non crede in niente, ma resta colpito dalla fede di alcuni musulmani. E’ un incontro che lo riavvicina al cristianesimo. Ritrova la fede nel confessionale: qui scopre quel Dio misericordioso e pieno di tenerezza che aveva sempre cercato senza saperlo.

“Dio costruisce sul nulla” - affermava Charles de Foucauld - “E' con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata". Può parlare così perché ha fatto esperienza di essere niente. E nel fallimento più totale viene ritrovato da Dio nel deserto in mezzo agli arabi.

Diventa sacerdote. Annuncia il Vangelo ai Tuareg, servendo e assistendo i poveri del Sahara: è  più povero di loro ma li istruisce e li difende dai predoni. E durante un assalto dei predoni resta ucciso: cercavano il suo tesoro, di cui spesso parlava. Non avevano capito che quel tesoro era Gesù nel Tabernacolo. Charles de Foucauld aveva fatto dell’Eucaristia il centro della sua esistenza.

Viene beatificato in San Pietro il 13 novembre 2005. Charles de Foucauld così si rivolgeva a Dio ogni giorno: “Padre, mi abbandono a Te, fa di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature: non desidero nient'altro, mio Dio. Rimetto l'anima mia nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. E’ per me un’esigenza d’amore il donarmi a Te, l’affidarmi alle tue mani, senza misure, con infinita fiducia: perché tu sei mio Padre”.

Ma qual è la caratteristica più attuale del carisma del Beato Charles de Foucauld? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto al vicepostulatore della Causa di Canonizzazione, padre Andrea Mandonico:

R. – In un modo come il nostro, senz’altro la fraternità; poi, la testimonianza cristiana, un modo che vale per tutti, non solo per chi è in terra di missione, ma per tutti noi. Essere noi stessi Vangeli viventi e testimoniarlo con la vita, con il modo di fare. E il terzo aspetto importante è quello di essere prossimo, Eucaristia per gli altri, dono per gli altri. Pensi a tutta quella grande gamma, quella grande estensione che consente di essere dono nella vita familiare, nel lavoro, nell’incontro con gli altri, nel rapporto con gli altri, nel dialogo … possiamo prenderlo proprio come base, come fondamento della nostra vita cristiana.

D. – Questa la spiritualità si ritrova anche in Papa Francesco …

R. – Certo! Basta leggere la “Evangelii Gaudium” con questo occhio e si trovano i passaggi magnifici proprio di corrispondenza tra quello che Papa Francesco scrive e quello che il Beato fratel Carlo ci ha lasciato come spiritualità. Per esempio, la vicinanza all’altro, non restare chiusi in se stessi, andare alle periferie del mondo e lui è andato in quel momento in mezzo ai Tuareg, che erano sconosciuti; e poi, dove il Papa parla della spiritualità come importanza dell’intercessione, della preghiera, questo aspetto in fratel Carlo è stato veramente un grande pilastro, quello di pregare perché tutti vadano in paradiso.

D. – Che significava per lui “incarnare la vita nascosta di Nazareth”?

R. – Vivere come Gesù ha vissuto a Nazareth, in mezzo agli altri, facendosi prossimo con gli altri, vedendo in loro – dice sempre – il volto di Gesù. Portare l’Eucaristia, non solo nell’adorazione, nella celebrazione, nell’adorazione eucaristica, ma facendosi Eucaristia lui stesso, cioè dono per questi fratelli. Proprio, ritorniamo al discorso che facevamo prima della possibilità della vicinanza a questi fratelli più poveri. E poi, un’altra cosa importante: lui diceva “diventare Vangelo vivente”, lo lascia scritto, è un mandato anche per i suoi discepoli. Portare Gesù secondo lo stile di Nazareth non è predicarlo, ma è gridarlo con la propria vita, quindi una vita evangelica, una vita santa, seguendo quello che gli aveva detto il suo direttore spirituale: “Con questa vita santa e buona suscita negli altri l’interrogativo: "Come mai quest’uomo è così buono?". Io sono così buono – dice – perché il mio padrone è ancora più buono di me.

D. – Una vita mirabolante, comunque sempre orientata alla missionarietà …

R. – Come Maria aveva nascosto in sé Gesù nel proprio grembo e l’ha portato nella casa di Zaccaria e portandolo ha santificato, ha redento, ha salvato tutta la famiglia, la casa di Zaccaria, così anch’io – dice – devo portare Gesù nell’Eucaristia e nel Vangelo in mezzo ai popoli che ancora non lo conoscono, cercando di essere fratello di tutti.

D. – Essere fratello di tutti per lui significa imparare subito la lingua dei Tuareg …

R. - Impara il tamec e scrive il famoso dizionario in quattro volumi, tuareg-francese, che ancora oggi è un caposaldo per coloro che vogliono affrontare lo studio sui tuareg.








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